-
Mezzo secolo fa i genitori non si ponevano, almeno in maniera esplicita, il
problema educativo. La famiglia dava al figlio la propria impronta, che era più
o meno in sintonia con il vivere sociale e con lo stile che le altre famiglie
davano ai propri figli. Succedeva che qualche figlio andasse “fuori strada”, ma
il progetto educativo, da quasi tutti implicitamente accettato, era preciso,
omogeneo e pressante: i condizionamenti sociali e gli insegnamenti della Chiesa
erano dei poderosi “guard-rail” che tenevano le persone entro un preciso
modello di comporta-mento. Mettere al mondo un figlio era come inserirlo in un
alveo ben definito che lo conteneva e lo accompagnava per tutta la vita.
-
La grande svolta iniziata negli anni ’60 ha demolito progressivamente gli
argini di questo alveo e i possibili percorsi di vita sono divenuti molteplici,
affidati sempre più all’arbitrio del singolo. Molte famiglie si sono trovate
sole e disorientate. Molti genitori oggi vivono sofferenze, ansie,
disorientamento nel rapporto con i loro figli; sono rassegnati e spesso passivi
di fronte alla deriva di molti dei loro figli, che seguono strade lontane da
quelle percorse dai genitori; i genitori oggi hanno poca fiducia nella propria
opera educativa, sono convinti che i loro figli prendono una piega diversa
dalle loro attese per il forte potere che su di essi hanno i mezzi di
comunicazione di massa (televisione, internet, stampa…), la scuola, i compagni,
le mode… Spesso troviamo genitori che, pur non essendo d’accordo con le idee,
gli atteggiamenti e le scelte dei loro figli, si salvano dalla disperazione
dicendo: “oggi si usa così… oggi fanno tutti così… che cosa vuoi farci?”.
-
Se diamo uno sguardo alle spalle di questi genitori disorientati nel rapporto
con i loro figli, probabilmente scopriamo che, almeno per la maggior parte di
essi, si era già interrotta la relazione educativa tra la loro generazione e
quella che l’ha preceduta. La grande frattura del ’68 ha in qualche modo
isolato una generazione privandola delle radici e impoverendola di quella
ricchezza (naturalmente è sempre una ricchezza da purificare e da aggiornare)
che ogni generazione di solito è in grado di trasmettere all’altra in forza
dell’amore.
- Forse vale la pena tentare
anche un altro ragionamento. La generazione del post-sessantotto ha rotto con i
propri genitori e da questa rottura è derivata sofferenza sia per i padri e le
madri che per i figli: per risparmiare questa sofferenza ai propri figli, la
generazione del post-sessantotto ha cercato di realizzare un rapporto non
conflittuale con i propri figli, un rapporto e così vogliamo dire alla pari (è
la generazione dei genitori che vogliono essere “amici” dei loro figli).
- Questo genere di rapporto,
incapace di gestire i conflitti, si è però anche impoverito di quella
intenzionalità e di quella fermezza educativa che sono indispensabili in un
dialogo educativo. Può essere forse una lettura semplicistica, ma, senza voler
generalizzare troppo, ci dà qualche spiegazione dell’attuale impotenza di molti
genitori in fatto di educazione. Insieme con la famiglia, sono andate in crisi
tutte le altre “agenzie educative”. Non meno forte di quello dei genitori è il
disorientamento degli insegnanti nel mondo della scuola e di tanti educatori:
oggi si parla con sempre maggiore insistenza di una “emergenza educativa”
che riguarda la famiglia, la scuola, le istituzioni ecclesiali, l’intera
società.
- Lo ricordava qualche mese fa
anche il Papa BenedettoXVI: “Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra
diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande “emergenza
educativa”, della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle
nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento,
difficoltà che coinvolge sia la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro
organismo che si prefigga scopi educativi... Così sia i genitori sia gli
insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di
non comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad
essi affidata”.
-
Ad aggravare la situazione della famiglia nella sua dimensione educativa si
aggiunge anche il fatto che il nostro tempo è segnato dalla fragilità delle
famiglie sul piano relazionale e sul piano della “tenuta” ai valori
fondamentali che dovrebbero sorreggerla,
fragilità che determina spesso il fallimento del progetto di vita di molte
famiglie. A questo si aggiunga che c’è un tentativo persistente della cultura
radicale e dei mass-media di demolire il valore della famiglia mettendone in
luce solo i fallimenti e la povertà. Bisogna dire che, nonostante questo, i
giovani credono sempre più nella famiglia.
-
Questo disorientamento d’altra parte ha messo in moto una ricerca di soluzioni
e di risposte che hanno reso attuale il problema educativo:
·
chi educa le nuove generazioni?
·
A quali valori vanno educate?
·
Con quali risorse e con quali mezzi?
·
Quale futuro attende questa generazione?
- Il problema educativo ha
investito sempre di più la vita sociale ed ecclesiale e l’attenzione si sta
concentrando soprattutto sulla famiglia, chiamata per sua natura ad essere il
primo e il fondamentale ambiente educativo per le nuove generazioni.
- Dobbiamo
prendere atto che fino a qualche tempo fa, malgrado tutto, nel sentire comune
erano presenti alcuni riferimenti di confronto costituiti da un complesso di
norme istituzionali, valori etici, morali e religiosi da tutti accettate e
ritenute imprescindibili; tradizioni, consuetudini, valori su cui la gente si
misurava, a prescindere dall’opzione specifica di fede o di pratica religiosa, a prescindere dell’appartenenza
politica o socio culturale.
- Esistevano
limiti riconosciuti invalicabili da tutti e da tutti accettati riferiti
all’azione umana e alle culture, stabiliti dai grandi fatti biologici,
naturali, etici, limiti entro i quali tutti si doveva vivere, operare e
misurarsi.
- Il fatto
tipico e assolutamente nuovo di quest’ultimo periodo della nostra epoca è che
l’uomo di oggi ha la certezza che quasi tutto gli è possibile o gli sarà
(grazie ai progressi scientifici) tecnicamente possibile, che i limiti sono o
saranno a breve termine comunque superati e che ciò oggi è ritenuto
impossibile, presto sarà reso possibile.
- L’uomo comune avverte che sarà sempre più emancipato
dal ritmo del giorno e della notte, dai ritmi e dai limiti dello spazio, grazie
ai traguardi raggiunti dalle tecnologie, alle forme di trasporto velocissimo,
all’immediatezza delle comunicazioni. L’uomo
comune avverte ed è convinto che la scienza possa proporre ogni giorno
la fattiva possibilità di superare, manipolare le stesse leggi della genetica,
della procreazione naturale, dell’eredità biologica. La maggioranza
dell’umanità è indotta a credere che potrà, in un avvenire prossimo futuro,
controllare, fare ed ottenere tutto ciò che vuole: sulla natura, sui modi di
essere, sulla qualità e durata della vita umana. Queste certezze sono
alimentate grazie ai progressi, solo per citarne alcune, della ricerca
scientifica, delle cellule staminali, della clonazione, della chirurgia
estetica, capace quest’ultima di annientare il passare del tempo, di
rimodellare difetti ed esaltare l’aspetto secondo i propri canoni e gusti
estetici. Queste continue conquiste, dall’uomo moderno, sono sperate, avvertite
e vissute come i nuovi orizzonti del possibile; medicina, tecnica e meccanica
sono viste e percepite come la realizzazione del fantascientifico che diventa
possibile e realizzabile, si è sempre più convinti che grazie a queste scienze,
nel prossimo futuro, i traguardi raggiunti saranno la realtà concreta,
realizzabile e tangibile di una nuova era priva di limiti per il genere umano,
privi del dolore e della morte, privi di un sentire religioso retaggio del
passato.
- Di
conseguenza, il fatto nuovo della storia umana è che mai come oggi si è
accresciuto a dismisura il senso della libertà: libertà dai condizionamenti
naturali e biologici, libertà dalle leggi e dalle consuetudini, libertà
dai
vincoli della natura e del tempo, libertà da Dio, dalle sue leggi, precetti e
istituzioni. Mai l’uomo ha avuto tanta libertà, mai è stato più emancipato e
disancorato da forme di riferimento che parevano ovvie, obbliganti, scontate,
evidenti, invalicabili. Le norme, le regole, le tradizioni, le convenzioni di
riferimento appaiono un valore relativo, non più un dato assoluto che non si
tocca; esse valgono nella misura in cui sono contrattabili in virtù di un
utile, di un fine. Tutto è negoziabile e opinabile, tutto può essere scelto,
tutto cade sotto l’interpretazione del soggettivo; sul mercato del denaro è
possibile comprare di tutto, tutto diventa mercanzia e oggetto di scambio, sono
in vendita anche la legalità, la dignità, la vita altrui, spingendosi in casi
sempre meno estremi al tentativo di giustificare con motivazioni deliranti,
traffici ignobili come quelli degli organi di bambini provenienti da paesi del
terzo e quarto mondo, la cui sola colpa è la povertà e l’ignoranza cronica
dell’ambiente in cui vivono con le loro famiglie.
- Regole e
canoni della “Finanza mondiale” diventano la legge fondante, lo scopo e la
ragione su cui ci si deve orientare, sulla quale si modella il proprio agire e
pensare, regole ed esigenze che nell’essere attuate sconvolgono, condizionano,
plasmano nel bene e nel male il destino di interi stati, dell’intera umanità.
- A questa
mentalità non sfugge nemmeno il concetto di sacro. La divinità che ad esso è
legata è recepita in maniera personalizzata, adattata alle proprie esigenze,
svilita al proprio credo e sentire, a forme interpretative spesso poste ai
limiti della contraddizione e del folcloristico; concetto di sacro che confina
entro certi limiti la nostra personale visione interpretativa,(un conto è Dio
un’altra cosa sono gli affari), divinità appiattita alla nostra “immagine di
Dio” (credo si, ma non nella Chiesa e nel Dio che essa propone, credo si, ma ho
una mia visione delle fede e di cosa si debba intendere per Dio). Per molti poi anche la divinità ha dovuto
cedere il passo e svanire nella concretezza inarrestabile e incontrovertibile
delle scienze e del trionfo del “super
io”, anche il trascendente deve manifestarsi nelle forme della privata e
soggettiva interpretazione, dei filtri e canoni del comune e personale sentire
ed agire e non a quanto proposto e da sempre insegnato dal Magistero della
Chiesa. A questi modelli interpretativi devono adeguarsi tutti, anche i vertici
della Chiesa, vertici che dovrebbero modificare ed aggiornare insegnamenti e
fede alla luce di un’esigenza di modernità più realistica e più facilmente
proponibile e percorribile.
- I
dettami della propria fede personalizzata sono sempre giustificati e secondari
alle ragioni ed alle esigenze del momento, ne consegue che le ragioni dello
spirito sono “secondarie” alle
esigenze “primarie” della carne, ad
esse si devono adeguare o soccombere; il tangibile diviene la vera esigenza cui
si deve far fronte, a cui si devono orientare ed investire i propri sforzi e le
proprie capacità morali ed intellettive, “ognuno
diviene giudice ed arbitro di se stesso e del proprio agire”, il senso e l’entità del peccato cadono
sotto “la tua libera, personale ed
insindacabile interpretazione”. In quest’ottica la divinità e il prossimo
si configurano come destinatari di ciò che ti avanza; Dio è confinato nei
limiti e negli spazi che noi gli concediamo.
- La
vecchiaia, le malattie, gli handicap fisici e psichici, sono classificati nella
lista delle limitazioni alla libertà, all’efficientismo, al perfezionismo, allo
stereotipo dell’uomo moderno, il quale deve essere sempre bello, aitante,
ricco, sempre giovane, vincente su tutto ed a qualunque costo. La logica del
possesso porta ad una cultura dell’individualismo, dell’accaparramento ed
all’egoismo sopra ogni valore e cosa, il possesso del denaro e la sua
capitalizzazione impongono il primato dell’avere su quello dell’essere. Non
vali per ciò che sei, ma per ciò che hai e per ciò che possedendo puoi
ostentare.
- E’
sempre più diffuso il comune sentire che ritiene che credo e valori religiosi
siano da rilegarsi nelle limitazioni del passato, classificandoli come fonte ed ostacoli al libero pensiero,
limitazioni alla propria crescita; pertanto l’uomo moderno deve liberarsi da
retaggi e credenze che prima o poi saranno smentite dal progresso e dalla
concretezza della conoscenza scientifica. Si rimuovono i crocifissi simboli
muti ed ingombranti di un credo di cui spesso ci si vergogna, o di cui si è
perso le ragioni; il tutto in nome di
un’integrazione
che è e appare più come negazione reciproca che dei valori delle proprie
origini e tradizioni, che dell’incapacità di pacatamente motivare le proprie
idee e la propria cultura, della cecità di riconoscere nel diverso il
completamento, l’arricchimento e non la
contrapposizione o impoverimento di ciò che tu sei o di ciò che lui
è.
- Si
riafferma il concetto che l’uomo è stato il vero creatore della divinità, per
esigenze legate a particolari momenti, culture e vicissitudini storiche, a
movimenti di pensiero, ad una diffusa ignoranza; si arriva nuovamente ad
affermare che Dio è stato creato dall’uomo “forte
e scaltro”per sottomettere l’uomo “mite
e ingenuo” (la religione classificata l’oppio dei popoli elargito dai
potenti per i loro interessi e per sottomettere le masse ingenue ed ignoranti).
- Si
afferma che la cosiddetta fede religiosa è una realtà che non ha retto quando
sottoposta alla prova storica e scientifica, o al progressivo evolversi dal
pensare del tempo presente, pertanto ha esaurito il suo scopo, smentita e
confinata alla stregua della cartomanzia, degli oroscopi, delle pratiche
esoteriche, figli anche quest’ultime di un retaggio duro a morire di ignoranza
e pseudo-culture del passato.
- Altrimenti
(l’esigenza religiosa ) viene vista come una realtà temporanea che finisce per
investire quasi solamente i ragazzi o gli anziani: i primi per festeggiare
eventi sempre più mondani e fine a se stessi come prima comunione, cresima e
matrimonio, i secondi per esorcizzare la vecchiaia, l’incalzare del tempo, i
malanni fisici, la morte e con essa l’incognita della realtà di ciò che ci
attende al termine di questa esistenza biologica.
- Dobbiamo
però prendere atto che la stessa libertà vista, concepita dall’uomo dell’età
presente, da quest’ultimo fortemente personificata, strenuamente pretesa e
difesa al proprio vivere, sentire e valutare non è mai stata tanto facilmente
manipolabile. I grandi strumenti del consenso sociale l’addormentano ( la
libertà ), o la guidano mediante la tecnica applicata al controllo della vita
di persone, mediante i mezzi informatici che permettono di seguire la gente in
tutti gli atti più semplici anche dell’ambito e nella sfera dell’intimo, del
privato. I mass-media sempre più assumono e sono riconosciuti come idonei ad
essere ed incarnare il ruolo del sentire e di “giusta coscienza e giudizio di
massa”. Tale controllo (che essi sono in grado di esercitare capillarmente) ci
fa comprendere che la libertà a cui l’uomo è assunto non è mai stata così grande
e insieme così fragile. Con questo crescere tumultuoso del senso prepotente
della libertà e del lecito che affascina non solo i ragazzi, i giovani, la
gente semplice, dei paesi e dei luoghi più remoti, ma tutti noi attraverso i
messaggi che giungono dai mass media, messaggi sempre più tesi a spiegare e
convincere alle ragioni di quanto viene da loro proposto, che la verità e la
conoscenza in tutti i settori è solamente quella di cui ( i mass media) sono
portatori.
- Ma il
luogo dove le tensioni della libertà e soprattutto, l’uscita dalle convenzioni
si concentrano, è la famiglia.
- L’identità
della coppia nel matrimonio, la famiglia nella sua costituzione, nella sua
durata, nella sua fecondità, nella sua missione viene invasa dall’opinabilità
generale che non la ritiene soggetta a regole e norme da noi considerate
proprie della famiglia tradizionale. Il concetto stesso di famiglia è stravolto
ed applicato a forme di unione particolari, improprie al suo naturale
significato e scopo costitutivo. L’essere una sola carne nell’amarsi, nel
rispettarsi sia nella buona che nella cattiva sorte, sembra confinarsi ed
esaurirsi alla formula del rito, o nel periodo di breve termine che segue. La
capacità e la volontà di superare con il reciproco impegno e coadiuvati dalla
grazia sacramentale della propria unione, gli inevitabili ostacoli, le
possibili incomprensioni, le difficoltà di ogni ordine e grado compreso quello
economico, sono ben lontane dalla realtà che impone il primato e le esigenze
dell’io su quelle del noi, dell’avere su quelle dell’essere, del donare su
quella del pretendere, del condividere su quella del possedere: in quest’ottica
l’amare significa solo compiacere se stessi.
- Anche la
figura dei “nonni” non è indenne a questi mutamenti, a volte essa si svilisce
perdendo la sua naturale ricchezza di esperienza del vissuto, di realtà ed
esperienza storica famigliare; sempre più si impone come figura di
collaboratori economici a supporto del / al bilancio famigliare, bilancio che
comunque deve comprendere scelte divenute “primarie”
come il lavoro di entrambi i coniugi per permettere le molteplici attività
sportive, ricreative, comportamentali ed estetiche; sempre più il nucleo
famigliare finisce per riscoprirsi come “estranei
nella propria casa” perché uniti solo nei ritagli concessi dal lavoro,
dallo sport, dallo svago, dalla televisione, da internet. In un’ era che si
caratterizza sempre più dalla facilità delle comunicazioni il “mutismo” tra le mura domestiche, la
mancanza di argomentazioni, la mancanza di tempo e di dialogo da dedicarsi
reciprocamente, sono sempre più realtà del
momento.
“Famiglia,
credi in ciò che sei!”
-
L’educazione è un diritto e un obbligo che appartiene ai genitori in forza
della decisione di generare: “Il compito dell'educazione affonda le radici
nella primordiale vocazione dei coniugi a partecipare all'opera creatrice di
Dio: generando nell'amore e per amore una nuova persona, che in sé ha la
vocazione alla crescita ed allo sviluppo, i genitori si assumono perciò stesso
il compito di aiutarla efficacemente a vivere una vita pienamente umana”.
Mettere al mondo un figlio, che non ha chiesto di esistere, è in qualche modo
fare un patto con lui per dimostrargli che la vita è un bene che vale la pena
di essere vissuto.
-
Nel contesto sociale e culturale che abbiamo descritto sopra, il primo problema
è di restituire alla famiglia fiducia in se stessa e nelle proprie possibilità
di educare. L’esortazione del Papa Giovanni Paolo II “Famiglia, credi in ciò
che sei” non vale soltanto per la ricchezza antropologica e teologica che la
famiglia porta in se stessa come bene supremo della persona e della società;
vale anche per il potenziale educativo che la famiglia per sua natura contiene.
- Dobbiamo credere fortemente che
anche oggi la famiglia lascia un segno determinante nella vita dei propri
figli. La relazione educativa della famiglia gode di una grande risorsa di
partenza, quasi come di un “patrimonio naturale” che accompagna la
genitorialità, che è l’amore che un papà o una mamma ha per il proprio figlio.
Nel campo educativo non c’è mai nessuna situazione “disperata”: partendo
dall’amore paterno e materno (anche in situazioni che definiamo “irregolari”) e
dal desiderio di ricercare il bene per il proprio figlio, è sempre possibile
ritrovare, anche a prezzo di grandi cambiamenti, la capacità di essere un buon
educatore.
Mezzi e risorse per educare in famiglia
- Quali sono i mezzi principali che la famiglia anche oggi ha
a disposizione per lasciare il segno nei propri figli?
Naturalmente qui, prima di entrare nell’ambito
dell’educazione alla fede, parliamo della relazione educativa in genere, che
comprende tutto l’arco dei valori a cui educare.
La relazione
affettiva.
- Non c’è dubbio che la principale ricchezza che ogni
famiglia ha a disposizione ( anche le famiglie che vivono in situazione
problematica ), è la relazione affettiva che deriva dalla comune appartenenza
di sangue e dalla vicinanza quotidiana. L’amore ha una forza persuasiva che va
al di là della capacità di motivare e di convincere; esso suscita un desiderio
di imitazione e un bisogno di identificazione che abbraccia tanto i modi di
vivere che i valori sui quali si imposta la vita. Di questa grande forza
persuasiva spesso non si rendono abbastanza conto nemmeno gli stessi genitori,
i quali ritengono che, nonostante gli sforzi da loro compiuti con generosa dedizione
per trasmettere ai figli certi valori, essi siano portati ad assumere le
logiche di comportamento prevalentemente dall’ambiente esterno: dai compagni,
dagli amici e dai mass-media. Questa sfiducia dei genitori si genera e si
consolida soprattutto nel momento dell’adolescenza, quando il figlio comincia a
prendere le distanze dai genitori per affermare la sua autonomia e seguire la
sua strada.
Una comunicazione
significativa.
- Una risorsa importante per l’educazione in famiglia è data
da una comunicazione significativa ed efficace. Per “comunicazione”, non va soltanto attribuito all’uso della parola,
perché la comunicazione si avvale di una grande ricchezza di mezzi, a seconda
dei momenti e dei contenuti della relazione interpersonale:
saper ascoltare per mettersi in sintonia,
ascoltare “con il cuore”, per capire ciò che c’è nell’altra
persona,
dire le parole giuste, quelle che contano, al momento giusto…
Oggi purtroppo per molti genitori manca il tempo o mancano le
capacità di stare insieme con i loro figli per “ascoltarli” con il cuore:
rispetto ai figli piccoli, per esempio, l’ascolto si esercita giocando insieme
e cogliendo le loro curiosità e le loro interrogazioni.
- Fa parte del patrimonio educativo della famiglia
l’attenzione a vivere insieme con i figli alcuni momenti significativi della
storia e della vita ordinaria della famiglia, sottolineandoli con gesti che
diventano simbolici perché esprimono, nella semplicità del segno, la ricchezza
di sentimenti e di contenuti: i compleanni, gli anniversari di alcune tappe
della vita familiare, (il matrimonio dei genitori, il battesimo dei figli, le
ricorrenze di lutti familiari, ecc.).
La testimonianza.
- Un’altra grande risorsa che la famiglia ha a disposizione
per educare è la forza della testimonianza della vita, che vale ben più delle
parole e delle raccomandazioni. È diverso il messaggio che passa quando i
genitori cercano di accumulare ricchezza materiale senza limiti e senza
scrupoli, vivono per il divertimento e spendono per cose inutili, i loro
discorsi vertono sempre su cose vuote e inconsistenti, si disinteressano del
disagio e della sofferenza altrui, o quando invece, la loro vita è impegnata in
un lavoro onesto, in relazioni significative, in un’attenzione costante alle
esigenze e alle necessità degli altri, testimoniano una fede semplice senza
grandi discorsi ma con coerenza.
L’esperienza di
un amore che va al di là delle mura domestiche.
- Nella formazione dei figli è importante trasmettere i
valori fondamentali della vita non solo con l’insegnamento e la testimonianza
personale, ma anche proponendo di coinvolgersi in esperienze dirette:
l’attenzione ai poveri, ai malati, a chi è nel bisogno e a chi vive difficoltà
particolari, praticare piccoli gesti di “carità” e di “vicinanza”, proporre
queste esperienze con gradualità pedagogica non spetta soltanto agli animatori
della catechesi o della pastorale giovanile, ma compete anzitutto ai genitori,
che possono suscitare una sensibilità e una disponibilità iniziale coinvolgendo
i figli in qualche loro iniziativa o gesto di attenzione verso i fratelli della
comunità.
La preghiera
fatta insieme.
- Anche il pregare insieme può essere una potente risorsa educativa:
è un’occasione particolarmente efficace per comunicare i sentimenti, i valori e
uno stile di vita proprio della famiglia.
- La preghiera è esperienza di incontro con Dio, ma è
anche momento di intensa comunicazione “orizzontale” tra coloro che
pregano e di assunzione di una realtà più ampia che sta intorno alla famiglia;
è un momento di “intimità” in cui si sperimenta una comunione
particolare che viene dall’Alto e che ci rende più vicini tra di noi; è un momento
di responsabilità nei confronti delle situazioni di bisogno che si
presentano a Dio.
Il profilo dei genitori come educatori
- Genitori efficaci non sono i genitori perfetti, ma i
genitori che sanno porsi umilmente e coraggiosamente in atteggiamento di
scoperta e di conversione. Delineiamo alcune caratteristiche del buon genitore.
Riconosce la
“trascendenza” del figlio.
- Molti genitori oggi sono ansiosi e possessivi nei confronti
dei figli. La possessività nasce dalla convinzione che il figlio mi appartiene
come una proprietà ed è destinato a far parte per sempre della mia vita.
L’ansia nasce dalla presunzione di essere io l’unico decisivo plasmatore della
sua vita: allora lo circondo di affetto e di attenzioni soffocanti perché la
sua crescita risponda alle mie attese su di lui.
- Sono atteggiamenti che alla lunga generano insicurezza,
sensi di colpa e ribellione nei confronti dei genitori che hanno impedito al
figlio di crescere. È importante invece che i genitori riconoscano la
“trascendenza” del figlio: egli non è un prodotto nostro, ma viene da lontano,
ci è stato affidato da Dio perché lo aiutiamo a crescere e a trovare la “sua”
strada.
- L’atteggiamento giusto dei genitori è di stupore e di
meraviglia di fronte a un figlio donato e affidato con fiducia dal Padre della
Vita, di obbedienza nei confronti di quell’iniziativa arcana che sta al
principio della vita umana.
Conosce la meta e
la strada da percorrere.
- I genitori non devono presentarsi ai figli con la presunzione
di chi sa tutto e impone la strada da seguire; d’altra parte i genitori sono
adulti che hanno (o dovrebbero avere) maturato alcune scelte fondamentali e
hanno acquisito alcuni punti sicuri di riferimento: sanno cos’è il bene e sanno
indicare una via per rag-giungerlo.
- È molto diffuso oggi tra i genitori l’atteggiamento,
falsamente “democratico”, di mettersi alla pari dei figli, da amici; è segno di
insicurezza e vuoto di contenuti educativi da proporre.
Sente la
responsabilità di formarsi.
- I genitori sono chiamati a una grande responsabilità: che
non deve tradursi in ansia, deve semmai essere di stimolo a crescere nella
capacità educativa e a mettere mano a una formazione per la quale oggi non
mancano occasioni e iniziative.
- La comunità cristiana dovrebbe accompagnare con maggiore
cura i genitori nella loro difficile missione educativa.
Attende i frutti
con ottimismo e pazienza.
- Un rimedio all’ansia di molti genitori sono le virtù
dell’ottimismo e della pazienza, bene sintetizzati nella parabola di Marco
4,26-296: il genitore, come il contadino, dopo aver seminato con cura, va a
dormire tranquillo e attende con pazienza la stagione dei frutti: “egli
aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le
piogge d'autunno e le piogge di primavera“. I genitori saggi sanno che è un
Altro che fa crescere e affidano nella preghiera i loro figli a Colui che li ha
chiamati con un gesto di grande fiducia ad essere “cooperatori e quasi suoi
interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla”.
Sa mettersi in
disparte con gioia.
- Infine i genitori dimostrano la loro sapienza educativa
quando, dopo aver accompagnato i figli verso la loro autonomia, sfumando
gradualmente il peso della loro presenza, sanno mettersi in disparte, contenti
di vedere che essi sono in grado di percorrere da soli la loro strada.
- Obiettivo della cura dei genitori infatti non è quello di
legare a sé i propri figli per la vita, ma quello di aiutarli a crescere verso
il loro futuro, a costruire relazioni nuove rispondendo a una loro vocazione
specifica che li potrebbe portare anche lontano dalla propria famiglia di
origine.
- Può essere un modello e un aiuto per i genitori a questo
riguardo la testimonianza di Giovanni il Battista. Ai discepoli che gli
chiedevano se era lui il Messia promesso, Giovanni risponde: “Non sono io il
Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui … Ora questa mia gioia è
compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire”.
- Quando i genitori non sanno mettersi in disparte rispetto ai figli
già adulti, sono causa di problemi enormi nei figli: specialmente quando questi
stanno impostando la loro giovane famiglia.
Dedica tempo e
risorse alla propria relazione di coppia.
- Va anche detto che i genitori, per essere dei buoni
educatori, non devono trascurare la propria relazione di coppia. È frequente
infatti che due sposi, dal momento in cui diventano genitori, orientino tutte
le proprie risorse e attenzioni sul figlio: la “sindrome da nido vuoto” è alla
base di molti fallimenti di coppie tra i 20 e i 30 anni di matrimonio. È importante
allora che i genitori dedichino tempo e risorse anche a se stessi, coltivino la
propria intimità e relazione, altrimenti rischiano di impoverirsi e di non
essere più in grado di comunicare nulla ai figli se non povertà, tensioni e
frustrazioni.
·
Educare i figli alla fede: un impegno che nasce
da due Sacramenti
- Non possiamo nasconderci che oggi la sfiducia nella
famiglia (dovuta anche alle sue fragilità, come abbiamo detto sopra) porta
spesso anche nei nostri ambienti ecclesiali la convinzione che la parrocchia
deva educare alla fede “nonostante la
famiglia”o “in supplenza alla famiglia”.
- Di fronte a questa convinzione “va ricordato che la
famiglia è il luogo privilegiato dell’esperienza dell’amore, nonché
dell’esperienza e della trasmissione della fede”.
- Se da una parte la pastorale familiare deve ricordare
continuamente alle comunità cristiane di non accettare troppo facilmente la
delega in bianco dei genitori ma piuttosto di formare e sostenere le famiglie
in questa loro responsabilità primaria, dall’altra parte essa deve darsi da
fare perché i genitori cristiani siano sempre più consapevoli che educare alla
fede consegue direttamente alla loro scelta del matrimonio cristiano e del
battesimo dei figli: “Trasmettere la fede ai figli, con l’aiuto di altre
persone e istituzioni come la parrocchia, la scuola o le associazioni
cattoliche, è una responsabilità che i genitori non possono dimenticare,
trascurare o delegare totalmente”.
- Uno degli impegni essenziali che gli sposi esprimo nel
momento del matrimonio riguarda la responsabilità del generare e dell’educare: “Ci
impegniamo ad accogliere i figli che Dio vorrà donarci e a educarli secondo la
Parola di Cristo e l’insegnamento della Chiesa”.
- Quando i genitori presentano un figlio perché riceva il
Battesimo, accogliendoli all’ingresso della chiesa, il celebrante rivolge loro
un ammonimento solenne: “Chiedendo il Battesimo per il vostro figlio, voi vi
impegnate a educarlo nella fede, perché, nell’osservanza dei comandamenti,
impari ad amare Dio e il prossimo, come Cristo ci ha insegnato. Siete
consapevoli di questa responsabilità?”. I genitori naturalmente e
consapevolmente rispondono: “sì”.
- Anzitutto è importante preparare gli sposi e i genitori
prima del Matrimonio e prima del Battesimo perché siano in grado di pronunciare
con libertà e responsabilità questi impegni, ma poi è importante, lungo il
tempo della formazione permanente, richiamare in alcuni momenti gli impegni
assunti.
Genitori
e catechisti, insieme per educare alla fede
- Una volta affermato
che è compito primario della famiglia educare alla fede, va però anche detto che
la famiglia in questo compito non è autosufficiente: c’è bisogno del contesto
di una famiglia più grande, la comunità cristiana, che diventa anch’essa, come
la famiglia, “grembo generante ed educante” per il cristiano.
- Le due realtà, la famiglia e la comunità cristiana, non
sono in alternativa.
- È un errore delegare in bianco l’educazione cristiana dei
figli alla parrocchia (“non è possibile accettare un’assenza dei genitori
nel cammino dei figli” ), come è un errore limitare alla famiglia
l’ambiente che educa alla fede. È indispensabile l’apporto della famiglia come è
indispensabile l’accompagnamento dei catechisti e l’esperienza comunitaria
nella espressione della fede e dell’impegno cristiano.
- Educare alla fede in famiglia non richiede, come invece
avviene per la catechesi parrocchiale, programmi e orari; in famiglia si educa
non tanto comunicando verbalmente dei contenuti, ma “vivendo” in un certo modo,
stando attenti a valorizzare tutte le esperienze che si susseguono nella vita
familiare, nella comunità ecclesiale, per
interpretarle nella luce della fede e per cogliere gli spunti per dilatare
l’orizzonte della visione cristiana della vita.
- Alcune attenzioni devono essere costanti nei genitori cui
sta a cuore il cammino di fede dei figli “cogliere le occasioni della vita
quotidiana”
per parlare di Dio,
per comunicare la sua Parola,
per interpretare gli eventi e per orientare il cammino della
vita.
- Quest’ultimi, per quanto dolorosi e problematici (come ad
es. la morte di una persona cara), sono preziosi per trasmettere una visione
della vita attraverso l’interpretazione della fede: sottrarre ai bambini queste
occasioni significa farli trovare impreparati davanti a inevitabili traumi che
la vita riserverà più avanti.
“valorizzare i
segni “
ü che richiamano la presenza di Dio e la comunicazione con lui
nella preghiera:
ü un’icona o immagine sacra,
ü un cero, un simbolo sacro,
ü uno spazio particolare... rifuggendo dall’uso esclusivo di
parole e di concetti astratti;
“narrare”le opere
di Dio
nella storia della salvezza come raccontare, suscitando
gratitudine, gli interventi di Dio nella storia della famiglia e nella vita
quotidiana (abbiamo molto da imparare dalla tradizione ebraica: basti pensare
al contesto catechetico della celebrazione della Pasqua!); il Catechismo dei
bambini ribadisce l’efficacia pedagogica della narrazione della storia sacra ai
bambini.
“pregare insieme
in famiglia”
la preghiera comune in famiglia diventa un momento prezioso
di educazione alla fede; soprattutto al inizio giornata ed alla sera, essa rende
abituale l’osservare con interesse l’intreccio degli eventi e lo scorrere delle
persone davanti a noi come parte della nostra storia e della nostra famiglia, aiuta a riconoscere l’agire di Dio che opera
per il nostro bene anche quando noi non ce ne accorgiamo.
- La preghiera familiare, per educare al senso della vita e
per non perdere il riferimento all’esperienza quotidiana, deve avere due
caratteristiche, sottolineate anche nella “Familiaris Consortio” . “È una
pre-ghiera fatta in comune, marito e moglie insieme, genitori e figli insieme” ed
è “impastata di quotidiano”
- L’apporto della catechesi è però determinante perché la
fede non viva soltanto l’esperienza dell’intimità della famiglia, ma sia capace
di suscitare il senso di una fraternità più grande che ha origine
dall’Eucaristia, dove è il Signore che ci riunisce al di là dei legami di
sangue e al di là dei sentimenti per costruire una comunità che annuncia,
celebra e testimonia la vita nuova del Risorto.
- La catechesi, rispetto all’intervento della famiglia, ha un
carattere più sistematico che mira a dare un quadro completo di riferimento dei
contenuti della fede, ma nello stesso tempo introduce all’esperienza di quella
famiglia più grande che è la comunità cristiana.
- Le molte esperienze di catechesi familiare nelle quali
vengono coinvolti anche i genitori in un cammino di fede adulta in parallelo con
la catechesi dei loro figli, e di una più accurata formazione dei genitori che
chiedono il battesimo per i loro figli, dimostrano che lì dove c’è questo
intreccio armonico tra il coinvolgimento della famiglia e l’accompagnamento dei
catechisti, il cammino di fede diventa più sostanziale, interessa insieme tutta
la famiglia e l’insieme della comunità cristiana.
- Occorre ridare ai genitori fiducia in se stessi e nelle
proprie possibilità educative.
- Certo, che l’amore da solo non basta, o meglio:
ü l’amore è il migliore canale di trasmissione, ma se i
genitori hanno il vuoto in se stessi, l’amore trasmetterà il vuoto;
ü se i genitori riempiono la propria vita di ideali negativi e
frustranti, non potranno che incidere negativamente nella vita dei propri
figli.
Allora il primo problema sarà quello di
aiutare gli adulti a riconoscere e a scegliere valori autentici;
il secondo problema sarà di aiutarli a
capire che oggi è necessaria anche una competenza, frutto di un cammino di
formazione.
- Non basta l’amore, occorre l’umiltà di riconoscere che
essere genitori oggi è un mestiere difficile ma possibile e che per essere
all’altezza della missione bisogna spendere tempo e risorse per formarsi,
soprattutto nel confronto con altri genitori, valorizzando le occasioni che
possono venire da vari ambienti.
- Per ridare fiducia ai genitori, è quanto mai opportuno
l’incoraggiamento paterno che il Card. Carlo Maria Martini ha rivolto ai
genitori in una splendida lettera poco prima di lasciare il suo servizio pastorale
a Milano:
“La vostra vocazione a
educare è benedetta da Dio: perciò trasformate le vostre apprensioni in
preghiera, meditazione, confronto pacato.
Educare è come
seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è
certo che non ci sarà raccolto.
Educare è una
grazia che il Signore vi fa: accoglietela con gratitudine e senso di
responsabilità.
Talora richiederà
pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in
una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma
non perdetevi d’animo, non c’è niente di irrimediabile per chi si lascia
condurre dallo Spirito di Dio”.
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