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martedì 31 agosto 2010

l'arte bianca




 Il pane è un antico alimento dell'uomo, il prodotto finale ottenuto dalla farina, tramite una serie di operazioni che nel loro insieme costituiscono la panificazione. E' alla base dell'alimentazione in quei paesi del mondo dove il grano è il cereale per eccellenza ed è considerato da tutti un alimento completo e di alto valore nutritivo. Il pane lievitato è preparato soprattutto con il frumento, l'unico chicco ad alto contenuto di glutine che si distende fino a formare una sottile pellicola elastica sopra le migliaia di bollicine di gas che si sviluppano durante la fermentazione. Tutta la ricchezza che si nasconde nei chicchi di grano è data dall'amido e dalla farina. Nelle religioni cristiane il pane è santificato ed è considerato il simbolo del nutrimento con il quale, nelle preghiere, viene chiesta la benedizione divina.
L'ARTE BIANCA
Sono più di 53 mila le aziende panificatrici presenti in Italia, e oltre 35 mila i fornai, che con il loro prezioso lavoro, molto spesso notturno, producono oltre tre milioni di tonnellate di pane all'anno, con un fatturato annuo di oltre sei miliardi. "Arte Bianca" è il nome della nobile arte della panificazione. I rappresentanti delle aziende panificatrici sono riuniti nella FIPA, la Federazione Italiana Panificatori, che si sono dati delle regole per garantire la genuinità dei loro prodotti.
CARATTERISTICHE NUTRIZIONALI DEL PANE
Il pane contiene proteine ed è un alimento ricco di amido, come la pasta, il riso, i biscotti e tutti i farinacei. L'amido è una polvere dal gusto neutro che si "agglutina" nei liquidi caldi, formando una specie di gelatina. Il pane dà un buon senso di sazietà e soddisfa ancora il fabbisogno energetico e proteico di molte popolazioni, mentre in Occidente viene fatto un uso minimo di pane, o addirittura bandito dalle tavole accusato di far ingrassare. Il pane è per lo più considerato come accompagnamento al pasto, in modo particolare alla carne, o un piatto, un contenitore per formaggi o confetture, per colazioni e merende.
Nella maggior parte delle 
forme di pane si possono distinguere una parte esterna, detta crosta, che è friabile e omogenea e costituisce un terzo del peso del pane, e una parte interna, chiamata mollica, soffice, porosa ed elastica, che costituisce i due terzi del peso del pane.
Adesso è molto in voga il 
pane bianco, ma purtroppo la raffinazione fa perdere ai chicchi di grano la parte migliore delle loro sostanze nutritive. La farina bianca perde dal 50% al 90% delle vitamine e dei minerali che sono contenuti nella farina integrale. Il pane integrale è quindi più ricco di vitamine e sali minerali, ma per motivi di digestione o di assimilazione si può scegliere il pane bianco. Se il panefosse meno bianco sarebbe meno croccante, ma sicuramente più ricco di nutrimenti.
Tra i tanti pregi, il pane contiene anche ferro, utile per trasportare sangue in tutto l'organismo, in una quantità uguale (a parità di peso) alla carne di vitello, di maiale, e dei pesci.

a completamento di : "antichi mestieri"

lunedì 30 agosto 2010

Gli antichi mestieri



Gli antichi mestieri
La scomparsa di tanti mestieri, relegati ormai soltanto nella memoria, costituisce una perdita, dal momento che si pone l'esigenza di conservare la memoria storica per comprendere il nostro presente.
Artigianato e città: un binomio indissolubile per molti secoli, fin da quando nel tardo Medio Evo, la rinascita dei centri urbani fu segnata e promossa proprio dalle botteghe artigianali impegnate nella lavorazione del ferro, dei tessuti, delle ceramiche, etc.



Una storia, questa, che ha vissuto momenti molto alti in tante città italiane vedendo arti, mestieri e corporazioni assurgere anche a ruolo di ceto dirigente.
Purtroppo la novità di questi ultimi cinquant'anni è stata la rottura di questo rapporto, l'uscita se non addirittura l'espulsione dai centri storici di tante piccole attività produttive, la perdita di un patrimonio prezioso di professionalità e di esperienza.
Ma a scomparire non sono solo tanti protagonisti di antiche botteghe, è anche una certa qualità della vita nei centri storici. Spesso ridotti a grandi agglomerati per cittadini extracomunitari  o per le fascie più disagiate della società, che attratti dai costi contenuti, trasformano,   loro malgrado, case piene di storia cittadina in dormitori dove la qualità della vita diventa sempre più complicata per la mancanza di una serie di servizi.
Proprio per cercare di invertire questa tendenza si è costituita, un movimento di pensiero per iniziativa quasi spontanea, con l'obiettivo di dar voce e rappresentanza alle botteghe artigiane che, pur tra mille difficoltà, continuano a vivere nel centro storico.
Favorendo e privilegiando con appositi investimenti il reintegro di  queste botteghe, si potrà non solo trovare una risposta a tante esigenze della vita quotidiana, ma anche apprezzare la qualità, la maestria, il gusto raffinato di oggetti, prodotti e servizi realizzati con grande professionalità, unito al recupero storico abitativo delle nostre città.


Gli ombrellai, tipica categoria di artigiani, riparavano ombrelli sostituendo bacchette rotte e manici spezzati, eseguendo anche rattoppi alla stoffa. Gli ombrellai giravano soprattutto nelle giornate piovose, eseguendo il loro lavoro dinanzi alle case dei richiedenti annunciandosi con strilli cadenziati che specificavano il loro arrivo e il servizio reso.

Altra categoria erano 
gli arrotini, artigiani che giravano per le vie del paese annunciando il loro passaggio con un grido.
 Dotati di una mola smeriglio, il cui moto rotatorio era determinato da un pedale che azionava una grossa ruota di legno che trasmetteva il movimento all'intero congegno. Oggi l'arrotino esiste ancora ma dispone di mezzi più moderni, anche se la struttura fondamentale del congegno è identica alla precedente e generalmente svolge la sua attività nel retro dei negozi di casalinghi.

Un altro mestiere quasi del tutto scomparso è quello del
la sartina. Favorito dallo sviluppo dell'industria tessile che consentì l'apertura di numerose botteghe per la vendita al dettaglio di tessuti e filati di vario genere, incoraggiando l'arte della sartoria e dando lavoro a sarti e sartine, che spesso svolgevano la loro attività all'interno della loro abitazione.

Anche 
gli accalappiacani facevano parte della schiera degli artigiani del tempo. All'epoca i cani erano numerosi, poiché ogni agricoltore si cresceva l'animale fedele per custodire il cascinale, la stalla o la casa e spesso quando non gli serviva più l'abbandonava per strada.
L'accalappiacani, dipendente comunale, prelevava i cani abbandonati portandoli in un luogo di raccolta, ove sostavano per alcuni giorni per dare l'opportunità ad eventuali padroni di richiederne il riscatto. In mancanza di ritiro la sorte di quelle bestie era segnata.

Un altro personaggio che si aggirava per le vie della città era 
il banditore, utilizzato per comunicare ai cittadini disposizioni dell'Amministrazione comunale, della Chiesa o avvisi di privati cittadini.
Per gli annunci ufficiali del Comune, il banditore era preceduto dal rullio del tamburo. Per gli annunci della Chiesa, invece del tamburo, veniva suonato un grosso campanello, mentre gli annunci privati erano preavvertiti dal suono della trombetta. Ovviamente gli annunci erano fatti in gergo dialettale ed il passaparola era molto efficiente. Oggi il sistema di comunicazione è notevolmente cambiato: il banditore è stato sostituito da sms, volantinaggio, mail, pubblicità.

Altri artigiani considerati di categoria più elevata erano i barbieri, i cui saloni nel passato non erano molto affollati, poiché i clienti andavano a farsi radere una volta o due alla settimana, preferibilmente il sabato e la domenica. Molti si facevano crescere anche i baffi, ad eccezione dei sacerdoti che si radevano anche i baffi, consuetudine che si diffuse anche tra il laicato, specie dopo la prima guerra mondiale per imitazione degli emigrati americani che importavano quella moda da oltre oceano.
I barbieri oltre che di barba e capelli si occupavano anche di altre attività soprattutto sanitarie, come cavare denti o applicare sanguisughe (che in tempi andati si utilizzavano per far succhiare sangue agli ipertesi). I saloni del tempo erano anche scuole per strumenti a corda. Infatti, la tradizione vuole che il barbiere avesse una vocazione innata per la musica, privilegiando quella operistica. Forse ispirati dal più famoso "Barbiere di Siviglia", per cui impartiva lezioni di chitarra e mandolino, soprattutto per i giovani che andavano a trascorrere il tempo libero. I barbieri, inoltre, essendo buoni suonatori, erano chiamati ad allietare ospiti ed invitati, in occasione di feste o matrimoni, che allora si svolgevano rigorosamente in casa.

Concludendo, i mestieri scomparsi sono più numerosi di quel che si crede, ne ricordo qualche altro: il calzolaio, il cestaio, il maniscalco, il carbonaio, lo stagnino, ecc. Per non parlare dei mestieri legati alla civiltà contadina per i quali sarebbe utile, prima che scompaiano del tutto, allestire qualche museo che ne conservi la memoria.

 


  
Di streghe si è sempre parlato, e la credenza che vi siano persone che abbiano delle strane facoltà fa parte della nostra storia. Per i greci erano Medea, Circe, le donne tessale e traci, per i Romani l’oraziana Canidia. E proprio i romani consideravano esperti in stregoneria gli Etruschi, i Marsi, i Sabini, i Peligni. All’inizio del secondo millennio a.C., il codice di Hammurabi prescrive che se un uomo ha accusato qualcuno di stregoneria e non l’ha provato, l’accusato deve assolutamente immergersi nell’acqua sacra del fiume e se il fiume dove si è bagnato lo trascina con se, l’accusatore può occupare e impossessarsi della casa. L’atteggiamento verso la stregoneria, del potere pubblico, per molto tempo continua ad essere quello prescritto nel codice. Ma il problema che perseguì nel tempo è che le pratiche magiche vennero sempre punite senza distinzione, incriminando quindi sia la magia salutare, che quella cosiddetta nera. Questo perché il mago benefico, che poteva tranquillamente svolgere le sue mansioni, era potenzialmente uno stregone, e spesso veniva scambiato per un personaggio malefico e quindi punibile con la morte. 
La chiesa primitiva condannò, seguendo le impronte della Bibbia, la stregoneria identificando gli spiriti maligni con le divinità pagane. L’accusa di magia fu del resto in ogni tempo, un comodo strumento nelle mani dei potenti per liberarsi dai nemici e di quelle persone, chiamiamole così “scomode” per un popolo. Il numero delle vittime delle persecuzioni non si può stabilire, come i processi e le confessioni per potersi scagionare da queste ingiurie. Le torture e i roghi si diffusero per tutta Europa, fino al ‘700 dove ancora vennero esercitati processi contro gesuiti e donne isteriche e nevrotiche. 
In ogni tempo l'ignoranza è sempre stata il peggior male per l'umanità.


- leggenda dell'Emilia Romagna - Azzurrina

Nel 1375 sotto il dominio dei Malatesta. Ugolinuccio Malatesta, signore di Montebello, è fuori in battaglia e ha affidato la sua bambina, Guendalina, a due guardie di fiducia.
Perché una fanciulla in tenera età (tra i sei e gli otto anni) si trova in una fortezza da guerra qual era il Castello di Montebello, con la sola compagnia di uomini armati?
Guendalina era nata albina, quindi chiara di pelle, capelli e occhi; bianca come la neve. Nelle mille credenze che  “marcarono” il Medioevo, questa caratteristica era ritenuta espressione del demonio, le donne con i capelli bianchi o rossi erano ritenute streghe, perciò i genitori della bambina per proteggerla, la nascosero agli occhi maligni con una tintura per capelli e l'isolamento nella fortezza. Il particolare effetto azzurrato dei capelli, dopo la tintura vegetale a cui erano sottoposti, accompagnato all'azzurro limpido degli occhi, le valse il soprannome di Azzurrina. Come abbiamo detto, in quei giorni il padre era assente, in guerra. Corrono i giorni del solstizio d'estate, scoppia un forte temporale e Azzurrina è costretta a giocare all'interno del castello, guardata a vista dalle guardie. La piccola si sta trastullando con una palla di stracci che fa rotolare per corridoi e scale, finché le sfugge di mano e precipita giù nel sotterraneo dove si conservano i cibi. La bambina insegue la palla e scende le strette e lunghe scale che conducono alla ghiacciaia. I due armigeri non si preoccupano più di tanto e la lasciano andare, da lì non si può raggiungere nessun altro posto del castello. Succede tutto in un attimo: una corsa, un grido e la bambina scompare per sempre. Le guardie richiamate dall'urlo, accorrono nei sotterranei ma non trovano traccia di anima viva. La bambina è scomparsa nel nulla e da allora non viene più ritrovata. Il Malatesta si dispera e fa condannare a morte i due armigeri, unici testimoni della misteriosa disgrazia, a cui non crede, come tanti altri nel corso dei secoli. La misteriosa scomparsa di Guendalina Malatesta però non è una favola ma un fatto realmente avvenuto; è narrata in una cronaca del'600, custodita nella biblioteca del castello. Così nasce la leggenda di Azzurrina, la bimba che da quel lontano 1375, a detta di alcuni, continua ad abitare le stanze del Castello di Montebello. Giunta fino a noi in un'eco tra il pianto e il riso dalle registrazioni delle troupe televisive effettuate nel 1990 e nel 1995, nel castello disabitato, a porte chiuse, con microfoni ultrasensibili, la voce di Azzurrina continua a farsi sentire avvincendoci con il suo intrigante mistero e attirandoci tra le mura del suo castello, diventato monumento nazionale e custodito fino al 1998 dalla professoressa Welleda Villa Tiboni, recentemente scomparsa. L'ultima "castellana di Montebello" sarà anche l'ultima custode del segreto celato dietro la scomparsa di Azzurrina, di cui finalmente sveleremo il mistero. La versione ufficiale della storia è la versione propinata dagli unici testimoni della tragedia, i due soldati addetti alla scorta della bambina. È quella che viene raccontata ai visitatori del castello, da quando questo è diventato un monumento d'interesse nazionale e di singolare attrazione. Queste mura hanno custodito per sei secoli il segreto di quella tragica giornata. Alcuni anni fa un medium, durante una seduta tenutasi nel castello, afferma di essersi messo in contatto con lo spirito di Azzurrina, la quale ha finalmente raccontato come sono andate realmente le cose. Fu un incidente. Guendalina, nel rincorrere la palla, cascò dalle scale e morì sul colpo. I due guardiani accorsero troppo tardi e trovarono la bambina ormai senza vita. Spaventati, rei di negligenza, essendo i responsabili dell'incolumità della figlia del loro signore e temendo una terribile punizione o la morte stessa, occultarono il cadavere, seppellendolo nel giardino e raccontando poi a tutti la versione della leggendaria sparizione. I due sventurati andarono incontro alla morte lo stesso e si portarono nella tomba il terribile fardello. Quante persone allora piansero la scomparsa della bimba e quanti ancora si commuovono a sentire narrare la sua storia, ma Azzurrina  era felice di vivere ed è felice di continuare a vivere anche solo nell’immaginazione dei visitatori dentro l'amato Castello di Montebello, assieme ai suoi amici di ieri e di oggi.
Lasciamola riposare in pace sotto il verde di quello che fu il suo giardino qualunque sia la verità o l mistero della sua precoce dipartita, lasciamola abitare le stanze di quella che fu la sua breve dimora; azzurro angelo custode del Borgo di Montebello.
(tratta dal sitohttp://digilander.libero.it/leggendeitaliane)  
  

domenica 29 agosto 2010

formazione alla legalità

Estrapolato dal discorso fatto ad una scolaresca da Pino Mascicari, imprenditore calabrese, che non ha voluto sottostare e divenire vittima della mafia del pizzo e della diffusa mentalità che copre  e sottostà all’illegalità.

“La mafia è un cancro che si può sconfiggere grazie alla giustizia e alla legalità. Non si deve piegare la schiena davanti alla mafia, ma andare avanti combattendo con dignità. Insieme possiamo combattere l’illegalità cominciando anche dalle piccole cose. Ho fatto arrestare tanti boss tanti assassini alla fine ho vinto io, non ci si deve abbassare e intimidire dalla mafia Ho vissuto 13 anni chiuso in casa, esiliato dalla Calabria, I miei figli hanno vissuto 13 anni senza vedere nessuno,nemmeno i parenti. Nonostante la vita che ho fatto e che faccio sono fiero di avere agito in questo modo, perché io credo nelle istituzioni e soprattutto credo nella giustizia. La sovranità appartiene al popolo. Non facciamo il loro gioco …difendiamo i nostri diritti….non facciamoli vincere….difendiamo noi stessi. Noi vi abbiamo messi al mondo e tocca a noi  rendere migliore la vostra vita. Non abbassate mai la testa voi siete il futuro. Il miglior futuro è basato sulla costruzione e sulla collaborazione; guerre, conflitti e violenze possono portare solo dolore e distruzione. Non permettete mai a nessuno di distruggere i vostri sogni.”
                                                                                                                                   Pino Mascicari

Quest’ultima affermazione mi ha riportato alla mente don Bosco, il grande sacerdote dei piccoli e degli umili. Come molti ricorderanno egli poneva sempre come suo principale obbiettivo educativo la “formazione dei buoni cristiani e onesti cittadini” cosa che, anche nel suo momento storico, non era di facile attuazione.
Ma volendo spostarsi al di là della particolare riflessione sulla mafia, argomentazione che in Italia si è resa di questi tempi assolutamente necessaria per mettere al corrente le nuove generazioni sulla pericolosità e sulla diffusione, non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo di tale fenomeno criminoso, è possibile tentare di sottolineare alcuni valori da ritenersi patrimonio imprescindibile di una civiltà che voglia definirsi tale ed alcuni comportamenti da condannare senza scusanti di sorta.
Fino a pochi decenni fa non si sentiva l’esigenza di un dialogo e di un insegnamento rivolto alle nuove generazioni su tematiche come legalità, regole comuni e rispetto, poiché il senso della legalità, dell’onorabilità e della moralità imponevano determinati livelli maggioritariamente assunti, modelli che difficilmente venivano messi in discussione o travalicati.
Inoltre oggi è sempre più opinione ricorrente che, se una norma viene trasgredita da più persone fino a divenire il comune senso del sentire e dell’agire, questo ne giustifica il “divenire lecito” di tale norma o comportamento, sia del pensiero, sia dell’agire; quasi che l’illegalità diffusa, sia lo sdoganamento di quanto prima era negato.
Un esempio tra tanti è la diffusione del ritenere di poco conto, di lieve entità “ perché così fan tutti e così oggi funzionano le cose,“ fenomeni gravi come il bullismo, giustificazioni comunemente espresse su corruzione, concussione, evasione, degrado morale più o meno celate.           
Se ad esempio analizziamo il fenomeno "bullismo", dobbiamo constatare che tale comportamento di mal costume e di assoluta ignoranza non si limita più a imporre atti di prevaricazione, prepotenza ed arroganza solo in determinati ambienti o contesti sociali, ma diventa per taluni, stile di vita da imitare, azione e modo di agire da imporsi per essere al passo con gli altri, per essere nella sfera dei "giusti".
Mentre tentavo di comporre queste brevi riflessioni, mi sono però tornati alla mente periodi di quando ero ragazzo.  
Mi sono apparsi alcuni flash vissuti, mi è tornata alla mente la prepotenza del nonnismo sotto il periodo di leva militare e come, a loro volta, coloro che avevano subito angherie e umiliazioni provassero quasi il dovere di far subire ad altri le stesse angherie subite pochi mesi prima.  
Mi è tornato alla mente l’eccessiva severità "o cosa fosse", nei reparti ospedalieri (ricoverato in ospedale avevo il terrore della capo sala e di una infermiera più della paura per l’intervento  che dovevo subire), ma soprattutto temevo il dottore, il quale  ogni  mattina quando mi visitava, incuteva in me una paura tale da riuscire ad ammutolirmi per diverse ore.  
Mi sono tornate alla mente comportamenti di adulti, quando, io ragazzino alle prime esperienze lavorative estive, mi sono ritrovato con persone le quali sembrava che avessero come scopo primario il piacere di renderti la vita impossibile.
Allora mi sono detto che certamente i tempi che stiamo vivendo non sono da riportare nelle cronache come esempi di vita ideale, ma come nemmeno quelli passati brillassero in tal senso ed ho concluso che in ogni tempo chi vive di prepotenza, arroganza e maleducazione, vive suscitando il clamore delle cronache, contrariando, importunando e molestando la vita di tutti i giorni della maggioranza di tutti noi.
Simultaneamente mi è tornato alla mente un detto che più volte avevo sentito inculcare dalla mia professoressa di italiano grammatica  a tutta la classe “ fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce ”.
Speriamo solo di trovare la cura per evitare che gli alberi continuino a cadere.
Speriamo che ci siano sempre più persone che sappiano dare esempi positivi ed educativi da ricordare e con i quali costruire il proprio cammino.  

venerdì 27 agosto 2010

Le fiabe di un tempo non tanto lontano



C'erano una volta, in cima ad una montagna, tre alberelli che sognavano quello che avrebbero fatto da grandi.
Il primo guardò le stelle che brillavano come diamanti al disopra di lui. "Io voglio custodire un tesoro, disse. Voglio essere ricoperto d'oro e voglio essere tempestato di pietre preziose. Sarà lo scrigno più bello dei mondo".
Il secondo albero guardò il piccolo ruscello che scorreva scintillando verso l'oceano. "Io voglio essere un gran veliero, disse. Voglio navigare su vasti oceani e trasportare re potenti. Sarò la nave più forte del mondo".
Il terzo alberello guardò nella vallata sottostante e vide la città dove uomini e donne si affaccendavano. "Io non lascerò mai questa montagna, disse. Voglio diventare così alto che, quando la gente si fermerà per guardarmi, alzerà gli occhi al cielo e penserà a Dio. Sarò l'albero più grande del mondo".
Passarono gli anni, caddero le piogge, brillò il sole e gli alberelli divennero grandi. Un giorno tre boscaioli salirono sulla montagna.
Il primo boscaiolo guardò il primo albero e disse: "E un bell'albero. E'perfetto." In un lampo, con un colpo di accetta, il primo albero cadde. Pensò dentro di se: "Sto per diventare un magnifico scrigno! Custodirò uno splendido tesoro."
Il secondo boscaiolo guardò il secondo albero e disse: "Un albero vigoroso. Proprio quello che andavo cercando." In un batter d'occhio, con un colpo di accetta, il secondo albero cadde. "Navigherò  su vasti oceani, pensò il secondo albero. Diventerò una grande nave, degna dei re."
Il terzo albero si senti venir meno quando il boscaiolo lo guardò. "Qualsiasi albero mi va bene", disse. E in un attimo, con un colpo di accetta, il terzo albero cadde.
Il primo albero si rallegrò quando il boscaiolo lo portò dal carpentiere, ma questi era davvero troppo occupato perchè gli venisse in mente di pensare ci fabbricare degli scrigni! E, con le mani callose, trasformò l'albero in una mangiatoia per gli animali. Così, l'albero che un tempo era stato bellissimo, non era nè ricoperto d'oro, nè ripieno di tesori. Era ricoperto di segatura e pieno di fieno per nutrire gli animali affamati della fattoria.
Il secondo albero sorrise quando il boscaiolo lo trasportò verso il cantiere navale ma, quel giorno, a nessuno sarebbe venuto in mente di mettersi a costruire un veliero. A forza di martellate e di lavoro di sega, l'albero fu trasformato in una semplice barca da pesca. Troppo piccolo, troppo fragile per navigare su un vasto oceano e perfino su un fiume, fu portato su un laghetto. Tutti i giorni trasportava carichi di pesci morti, dal pessimo odore.
Il terzo albero divenne molto triste quando il boscaiolo lo tagliò per trasformarlo in grosse travi che accatastò nel cortile. "Ma che è successo?, si chiese l'albero che un tempo era stato molto grande. Io desideravo soltanto di rimanermene sulla montagna e di pensare a Dio!"
Passarono molti giorni e molte notti. I tre alberi dimenticarono quasi i loro sogni...
Ma, una notte, la luce d'una stella dorata illuminò il primo albero, proprio mentre una giovane donna deponeva il suo neonato in una mangiatoia. "Avrei proprio desiderato fargli una culla...", mormorò il marito. La madre strinse la mano del padre e sorrise mentre la luce della stella brillava sul legno ben levigato. "Questa mangiatoia è magnifica", disse. E subito il primo albero seppe che custodiva il tesoro più prezioso del mondo.
Altri giorni e altre notti passarono... ma una sera un viandante stanco ed i suoi amici si ammassarono nella vecchia barca del pescatore. Mentre il secondo albero vogava tranquillamente sul lago, il viandante si addormentò. Scoppiò all'improvviso il temporale e si alzò
la tempesta. L'alberello fu preso da un tremito. Era consapevole che, con quel vento e quella pioggia, non avrebbe avuto la forza di trasportare in salvo tante persone!
Il viandante si svegliò. Allargò le braccia e dìsse: "Pace!" La tempesta si calmò con la stessa rapidità con cui era scoppiata.
E subito il secondo albero seppe che stava trasportando, il re dei cieli e della terra.
Qualche tempo dopo, un venerdì mattina, il terzo albero fu molto sorpreso quando le sue travi furono cavate fuori dal mucchio di legna dimenticata. Trasportato in mezzo alle grida di una folla irritata e beffarda, rabbrividì quando i soldati inchiodarono su di lui le mani di un uomo. Si senti orribile e crudele.
Ma la domenica mattina, quando il sole si alzò e la terra tutta intera vibrò d'una gioia immensa, il terzo albero seppe che l'amore di Dio aveva tutto trasformato.
Aveva reso il primo albero bello. Aveva reso il secondo albero forte. E, ogni volta che la gente avesse pensato al terzo albero, avrebbe pensato a Dio. E questo era molto meglio che essere il più grande albero del mondo.

leggenda Russa

Lo scrittore russo Dostoevskij racconta la storia di una signora ricca ma molto avara che, appena morta, si trovò davanti un diavolaccio che la gettò nel mare di fuoco dell'inferno. Il suo angelo custode cominciò disperatamente a pensare se per caso non esisteva qualche motivo che poteva salvarla. Finalmente si ricordò di un lontano avvenimento e disse a Dio: " Una volta la signora regalò una cipolla del suo orto a un povero".
Dio sorrise all'angelo: "Bene. Grazie a quella cipolla si potrà salvare. Prendi la cipolla e sporgiti sul mare di fuoco in modo che la signora possa afferrarla, poi tirala su. Se la tua signora rimarrà saldamente attaccata alla sua unica opera buona potrà essere tirata fino in paradiso".
L'angelo si sporse più che poté sul mare di fuoco e gridò alla donna: "Presto, attaccati alla cipolla".
Così fece la signora e subito cominciò a salire verso il cielo.
Ma uno dei condannati si afferrò all'orlo del suo abito e fu sollevato in alto con lei; un altro peccatore si attaccò al piede del primo e salì anche lui. Presto si formò una lunga coda di persone che salivano verso il paradiso attaccate alla signora aggrappata alla cipolla tenuta dall'angelo.
I diavoli era preoccupatissimi, perché l'inferno si stava praticamente svuotando, incollato alla cipolla.
La lunghissima fila arrivò fino ai cancelli del paradiso. La signora però era proprio un'avaraccia incorreggibile e, in quel momento, si accorse della fila di peccatori attaccati al suo abito e strillò irritata: "La cipolla è mia! Solo mia! Lasciatemi...". In quel preciso istante la cipolla si sbriciolò e la donna, con tutto il suo seguito, precipitò nuovamente nel mare di fuoco.
Sconsolato, davanti ai cancelli del paradiso, rimase solo l'angelo custode.

Ricordati che il bene che fai deve partire solo dal tuo cuore perchè Dio lo veda come un atto sincero di amore
 

storiella di fine estate

Storiella di  fine estate


Un giorno, un cieco si sedette sul gradino di un marciapiede di via Palazzo in Sanremo, ai suoi piedi il solito cappello per l’elemosina e un pezzo di cartone con scritto: "Sono cieco, aiutatemi per favore".
Una ragazza che passava di lì; si fermò e notò che vi erano solo  pochi centesimi nel cappello. Si chinò e versò delle monete, poi prese il cartone, lo girò e vi scrisse sopra alcune parole. 
Al pomeriggio di ritorno da piazza Cassini, la stessa ragazza ripassò in via Palazzo e notò (senza stupidirsi più di tanto) che il cappello del cieco era pieno di monete.
Il cieco riconobbe il passo della ragazza che al mattino aveva rimaneggiato il suo cartello e le domandò se  fosse stata lei ad aver scritto sul suo pezzo di cartone, ma soprattutto che cosa vi avesse scritto  di tanto miracoloseo da sollecitare la generosità dei passanti.

  E la ragazza rispose:

'Nulla che non sia vero, ho solamente riscritto la tua frase in un altro modo'.Sorrise salutò e se ne andò.

 Il cieco incuriosito più che mai chiese al primo passante cosa ci fosse scritto sul pezzo di cartone che aveva ai suoi piedi e si sentì rispondere:'Oggi è una bellissima giornata di estate e io non posso vederla'.
Morale: Cambia la tua strategia quando le cose non vanno molto bene e vedrai che poi tutto andrà meglio; ma soprattutto impara a vivere le difficoltà che la vita inevitabilmente ti riserva, con lo stesso spirito di un bambino, che vive sempre positivamente ogni istante della sua giornata.   

…….e se un giorno ti verrà rimproverato che l’essere bambino è sinonimo di essere un perenne dilettante nella vita, rispondi loro che l'Arca di Noè è stata costruita da dilettanti
  .......e il Titanic da professionisti!

Dedica questa idea a tutti quelli che tu vorresti vedere sempre un po’ bambini capaci di sorridere sinceramente su ogni cosa.
 

giovedì 26 agosto 2010



Dopo circa quindici anni ho rincontrato un mio carissimo amico.
Come spesso accade il lavoro, la famiglia e le mille cose della vita avevano contribuito ad allontanarci, finendo   così per sentirci telefonicamente solo quando l’uno o l’altro sentiva il bisogno di comunicare o informarsi se “tutto andava bene”.
Ma il rincontrarsi e vedersi di persona, mostra inevitabilmente alcuni “testimoni implacabili” del tempo che è passato, capelli brizzolati, rughe e pancetta.
Ma una cosa non è mutata minimamente nel mio amico “ Il suo sorriso”; sorriso capace a volte di spiazzarti, capace a volte di rifonderti coraggio e buonumore, capace di farti riflettere facendoti passare con estrema facilità dallo scherzo alla riflessione.  
Un sorriso sincero perché motivato dalle proprie convinzioni, reso credibile dalla coerenza di quanto detto e che concretamente, si è sempre vissuto nella quotidianità, anche quando le scelte si rivelavono difficili, impopolari e apparentemente incomprensibili, anche quando tutto sembrava darti torto, anche quando la cosiddetta buona sorte pareva si fosse messa in rotta di collisione.
Un sorriso che oggi come allora riesce a minimizzare i problemi facendoli apparire risolti o prossimi ad esserlo perché hanno perso tutta la carica di complessità di cui noi e solo noi li abbiamo caricati.  
Quel sorriso che oggi come allora sa prima scusare, capire, astenendosi da facili giudizi o conclusioni affrettate, cercando la motivazione dell’agire dell’altro, esprimendosi chiaramente come offerta incondizionata e concreta di aiuto.
Dopo avere esaurite le domande di rito sono inevitabilmente scivolato sul tema salute “ tu come stai” ? “bene a parte qualche acciacco e il mal di schiena che mi preoccupa di più quando non c’è che quando c’è, visto che è un mio fedele compagno da sempre”.
E subito ho ritrovato il mio amico, perché come io ho accennato alle sue “magagne” come i brutti frutti dell’età, lui mi ha subito prontamente corretto “ vedi se col passare del tempo dolori e dolorini di varia natura possono affliggerti basta prontamente pensare a cose che il passare del tempo ti ha regalato. Quando vedo mio figlio, la sua famiglia, i nipotini che crescendo sentono sempre più il bisogno dell’affetto del nonno, ringrazio il tempo che è passato perché ha permesso a questi meravigliosi frutti di rendere la mia vita ancora più felice".


E’ inevitabile: chi riesce a cogliere il lato positivo in ogni cosa, non può che gioire per ogni cosa che gli succede. 

E lentamente muore P. Neruda

E lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
  giorno gli stessi percorsi,
  chi non cambia la marcia,
  chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
  chi non parla a chi non conosce.
  Muore lentamente chi evita una passione,
  chi preferisce il nero su bianco
  e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
  proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che
  fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.
  Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
  chi e' infelice sul lavoro,
  chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
   chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati.
  Lentamente muore chi non viaggia,
  chi non legge,
  chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
  Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia
  aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o
  della pioggia incessante.
  Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
  chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non
  risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
  Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere
  vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto
  di respirare.
  Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una
  splendida felicità.







P. Neruda



libera interpretazione della leggenda di Jonathan Livingston











                                          






  “ Jonathan era un grosso e goffo albatros lasciato dai suoi genitori su una piccolissima isola deserta. Vedeva volare intorno a se molti uccelli che progressivamente sparivano all’orizzonte. Anche lui desiderava volare sognando la libertà, sognando il paradiso che sicuramente si prospettava oltre l’orizzonte, oltre la sua piccola isola, ma il suo corpo goffo e la sua mole gli ricordavano che per alzarsi da terra e spiccare il volo, bisognava essere fatti un un'altra maniera; snelli e agili come i gabbiani, come tutti gli uccelli che liberi volavano nel cielo. Inoltre lui viveva da sempre sulla sua isola priva di spazi piani, piena di sassi e rocce, che da sempre però lo aveva protetto da ogni pericolo. La sua voglia di volare tuttavia era talmente grande, il suo desiderio di alzarsi e libero sparire all’orizzonte era talmente forte che Jonathan decise di provare ad alzarsi in volo. Incominciò così, ogni giorno senza scoraggiarsi per gli insuccessi, tentando di realizzare il suo sogno; ogni volta alla fine della giornata si riprometteva che domani, domani sarebbe stato il giorno decisivo, che finalmente anche lui avrebbe gustato la libertà del cielo e si sarebbe anche lui, come gli altri uccelli, avviato verso l’orizzonte dove tutti si dirigevano. Ogni giorno prendeva la rincorsa, sbatteva le ali e inevitabilmente finiva a terra o in mare. Un giorno il desiderio era talmente forte, sicuramente più forte di tutte le altre volte; Jonathan guardo come se fosse l’ultima volta la sua piccola isola che lo aveva protetto dal vento, dalle burrasche, dalle certezze consolidate, ma che gli aveva reso più difficile il tentativo di alzarsi in volo. Quel giorno, presa la rincorsa scese come tutti i giorni correndo lungo il pendio che finiva nel mare, man mano che scendeva la sua voglia di libertà e di volare cresceva, man mano sentiva la schiuma delle onde sempre più vicina, man mano sentiva che sarebbe stata la volta buona. Arrivato in fondo al suo solito percorso questa volta successe ciò che aveva sempre sperato, pian piano Jonathan si alzò in volo, prima di pochi centimetri quasi a sfiorare le onde, poi sempre di più, sempre più in alto, sempre più libero nello spazio del cielo, sempre più vicino a quell’orizzonte che aveva sempre sognato “.

E CRESCENDO IMPARI.......

E CRESCENDO IMPARI....... 
E crescendo impari che la felicità non e' quella delle grandi cose.
Non e' quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi...
La felicità non e' quella che affanosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente,...
non e' quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari...,
la felicità non e' quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.
Crescendo impari che la felicità e' fatta di cose piccole ma preziose....
...e impari che il profumo del caffe' al mattino e' un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.
E impari che la felicità e' fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

E impari che l'amore e' fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore,
e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.

E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.

E impari che tenere in braccio un bimbo e' una deliziosa felicità.
E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami...
E impari che c'e' felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'e' qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.

E impari che nonostante le tue difese,
nonostante il tuo volere o il tuo destino,
in ogni gabbiano che vola c'e' nel cuore un piccolo-grande
Jonathan Livingston.
E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

mercoledì 25 agosto 2010

Pensavo & riflettevo:


                                                                                    Pensavo & riflettevo:



come mai spesso ci complichiamo da soli la vita, bisticciando, imprecando; quando siamo risentiti ed offesi, quando siamo in conflitto a torto o ragione con qualcuno o per qualcosa ?
Se ci pensiamo bene queste situazioni e stati d’animo che ne conseguono in prima battuta fanno del male a noi stessi.
In altri termini se abbiamo avuto da ridire con tizio per lo sgarbo ricevuto o con caio per il lavoro mal eseguito o per i loro possibili torti e comportamenti poco ortodossi e questo ci crea tensione, producendo in noi primariamente ansietà, risentimento o rabbia, facciamo innanzitutto del male a noi stessi, perché il clima di tensione negativa che si viene ad ingenerare si riflette primariamente su di noi e sulle persone che ci stanno a fianco.
Il nostro agire nei confronti di terzi non è sereno e anche se siamo in grado di tenere dentro di noi “camuffando il tutto con un’apparente indifferenza” questo stato di tensione altererà inevitabilmente i nostri rapporti, ed essi risentiranno di questo disagio che ci portiamo dentro.
Quale è la soluzione al problema: “Vivere lontano da tutti in cima ad una montagna o su un’isola sperduta o rivedere l’atteggiamento di fondo nell’affrontare situazioni poco piacevoli ed inevitabili conflitti di confronto con gli altri”?
Anche perché sono certo che, sia sulla cima di una montagna, sia su un’isola sperduta, avremmo da ridire sulle improvvise bizze del tempo o sulla natura che ci circonda animali compresi o su mille altri conflitti che si andrebbero inevitabilmente a creare generando in noi disagi e problemi; quindi per porre in essere queste soluzioni dovremmo adattarci a vivere “sotto una campana di vetro ermeticamente sigillata” lontana da occhi, dai condizionamenti ed interventi indiscreti di terzi di ogni ordine, natura e grado.
Forse la soluzione possibile a quanto sopra elencato potrebbe essere un diverso approccio alle problematiche che la vita di tutti i giorni inesorabilmente ci sottopone, apprendendo e praticando progressivamente ed in primo luogo, l’arte del saper accettare le differenze di vedute, di azioni del nostro prossimo, dopo di che, con la dovuta calma, (virtù in via di estinzione) il tutto sembrerà meno “ brutto “  di come  era apparso al primo impatto.
Facile a dirsi e difficile da applicare concretamente, in quanto la frenesia o il modo di vivere al quale ci siamo abituati ci porta ad agire quasi d’istinto; la cosiddetta mentalità moderna ci impone regole e canoni che sottostanno ad altre leggi, imponendo agire e risposte ben differenti da quelle accennate.
Ma quello che primariamente dovremmo recuperare, è la coscienza del crescere/capire che l’uomo è un essere capace di progredire e progredendo modificare e rimodellare se stesso, che l’uomo e in quanto tale, per quanto conosca è sempre maggiore ciò che non conosce e ciò che sempre gli resterà ancora da apprendere.

Concludendo; è bene ricordare che non esiste nessuno così povero da non poter dare e nessuno così ricco da non aver bisogno di ricevere, ma soprattutto dovremmo fare nostro un vecchio invito che San Paolo suggeriva nei suoi scritti alle prime comunità cristiane “....... siate lieti, ve lo ripeto ancora, siate sempre lieti, la vostra gioia sia nota a tutti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla”  (lettera ai Filippesi)