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sabato 21 settembre 2013


Cristo e’ la nostra speranza
 

« Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo, per la fede ... e nella speranza della vita eterna, che Dio, il quale non mentisce, promise fin dai tempi antichi, e che a tempo opportuno manifestò la sua parola, per mezzo della predicazione che è stata affidata a me, per ordine di Dio nostro salvatore ... » (Tit. 1, 1-3)


Noi cristiani siamo chiamati ad annunziare la “Buona Novella”, non cattivi presagi, né dottrine catastrofiche, oppressive e punitive. La speranza cristiana, fondamento del nostro annuncio, non è l’ottimismo suicida dell'autorea­lizzazione dell'uomo senza Dio e neppure è la passività e il conformismo di chi pensa che le cose si faranno da sole o che Dio le farà al posto nostro. Ci sono persone che si pongono sempre come interlocutori di problematiche di cui, qualsiasi risposta, è sempre  solo esasperante; la speranza cristiana si fonda sull'annunzio di Dio amore, per mezzo del quale, sempre, in qualsiasi circostanza, si può fare il meglio: “ AMARE”.

La nostra speranza si fonda su Cristo crocifisso, risorto e asceso al cielo: ma che ora vive nella Chiesa per portare al Padre l’umanità e la creazione. Vivere  verso il Padre è il fondamento della nostra speranza.

L'apostolo Paolo si definisce come predicatore della speranza, speranza che  aiuta a vivere il “ già e non ancora “ della restaurazione in Cristo. Questa serena tensione esistenzia­le, da significato alla vita. L'uomo ha bisogno che gli parlino di questa speranza.

Di altre cose è stato già scritto abbastanza ed anche meglio di quanto possiamo dire noi.

Non si sa e non si è credibili nel predicare la speranza cristia­na quando questa non è vissuta, creduta sperimentata e praticata in prima persona; la testimonianza del predicato­re è parte integrante della Parola, ammesso che della Parola colui che predica ne sia segno personale e non semplicemente la voce che asetticamente annuncia, ma grazie ad un carisma intimamente vissu­to, pur con tutti i limiti della persona, ne sia annuncio e testimonianza, consapevole che non le sue parole, ma la Parola è la sola che arriva al cuore dell’uomo, la sola che converte e salva.

Chi non vive la dinamica della speranza, in una tensione verso un incontro defini­tivo e verso un battesimo o immersione in Cristo, avrà bisogno di parlare di altro: ma questo non è predicare Cristo, è predicare se stesso, le proprie convinzioni, le paure che ci assillano. Chi non ha incontrato Cristo come speranza, cerca miti, immaginazioni, profeti, rivelazioni e scoperte eclatanti su cui appoggiarsi. Surrogati e contraffazioni ce ne saranno sempre e verranno sempre presentati come la rivelazione della verità nascosta e finalmente resa nota.  Di pseudo profeti dell’ultima ora che asseriscono di aver scoperto, capito e di dover diffondere arcani e archetipi o quello che altri hanno tenuto nascosto, ne è piena la storia di ieri, di oggi e lo sarà quella di domani.

Paolo non ebbe biso­gno di predicare altro: "Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede... e voi siete ancora nei vostri peccati" (1 Cor. 15,14.17). Con queste forti parole della prima Lettera ai Corinzi, san Paolo fa capire quale decisiva importanza egli attribuisse alla risurrezione di Gesù. In tale evento sta infatti la soluzione del problema posto dal dramma della Croce. Da sola la Croce non potrebbe spiegare la fede cristiana, anzi rimarrebbe una tragedia, indicazione dell'assurdità dell'essere. Il mistero pasquale consiste nel fatto che quel Crocifisso "è risorto il terzo giorno secondo le Scritture" (1 Cor. 15,4) - così attesta la tradizione proto cristiana. Sta qui la chiave di volta della cristologia paolina: tutto ruota attorno a questo centro gravitazionale. L'intero insegnamento dell'apostolo Paolo parte dal e arriva sempre al mistero di Colui che il Padre ha risuscitato da morte. La risurrezione è un dato fondamentale, quasi un assioma, un principio che viene assunto come vero perché ritenuto evidente (cfr 1 Cor. 15,12), in base al quale Paolo può formulare il suo annuncio (kerygma) sintetico: Colui che è stato crocifisso, e che ha così manifestato l'immenso amore di Dio per l'uomo, è risorto ed è vivo in mezzo a noi.

E' importante cogliere il legame tra l'annuncio della risurrezione, così come Paolo lo formula, e quello in uso nelle prime comunità cristiane. Qui davvero si può vedere l'importanza della tradizione che precede l'Apostolo e che egli, con grande rispetto e attenzione, vuole a sua volta consegnare. Il testo sulla risurrezione, contenuto nel cap. 15,1-11 della prima Lettera ai Corinzi, pone bene in risalto il nesso tra "ricevere" e "trasmettere "…… io vi trasmetto ciò che a mia volta ho ricevuto”. San Paolo attribuisce molta importanza alla formulazione letterale della tradizione; al termine del passo in esame sottolinea: "Sia io (Paolo) che loro (gli Apostoli) così predichiamo" (1 Cor. 15,11), mettendo con ciò in luce l'unità del kerigma, dell'annuncio per tutti i credenti e per tutti coloro che annunceranno la risurrezione di Cristo. La tradizione a cui si ricollega è la fonte alla quale attingere. L'originalità della sua “cristologia” non va mai a discapito della fedeltà alla tradizione. Il kerigma degli Apostoli presiede sempre alla personale rielaborazione di Paolo; ogni sua argomentazione muove dalla tradizione comune, in cui s'esprime la fede condivisa da tutte le Chiese, che sono una sola Chiesa. E così san Paolo offre un modello per tutti i tempi sul come fare teologia e come predicare. Il teologo, il predicatore non crea nuove visioni del mondo e della vita, ma è al servizio della verità trasmessa, al servizio del fatto reale di Cristo, della Croce, della risurrezione. Il suo compito è aiutarci a comprendere oggi, dietro le antiche parole, la realtà del "Dio con noi", quindi la realtà della vera vita oggi come allora, oggi e sempre, oggi nella concretezza del vissuto quotidiano.

E' qui opportuno precisare: san Paolo, nell'annunciare la risurrezione, non si preoccupa di presentarne un'esposizione dottrinale organica, non vuol scrivere quasi un manuale di teologia, ma affronta il tema rispondendo a dubbi e domande concrete che gli venivano proposte dalle comunità dei fedeli; un discorso occasionale dunque, ma pieno di fede e di teologia vissuta, di certezze radicate. Vi si riscontra una concentrazione sull'essenziale: noi siamo stati "giustificati", cioè resi giusti, salvati, dal Cristo morto e risorto per noi. Emerge innanzitutto il fatto della risurrezione, senza il quale la vita cristiana sarebbe semplicemente assurda. In quel mattino di Pasqua avvenne qualcosa di straordinario, di nuovo e, al tempo stesso, di molto concreto: quel mattino di Pasqua, fu contrassegnato da segni ben precisi, registrati da numerosi testimoni. Anche per Paolo, come per gli altri autori del Nuovo Testamento, la risurrezione è legata alla testimonianza di chi ha fatto un'esperienza diretta del Risorto. Si tratta di vedere e di sentire non solo con gli occhi o con i sensi, ma anche con una luce interiore che spinge a riconoscere ciò che i sensi esterni percepiscono e attestano come dato oggettivo. Paolo dà perciò, come i quattro Vangeli,  fondamentale rilevanza al tema dei segni e delle apparizioni, condizione fondamentale per la fede nel Risorto che ha lasciato la tomba vuota. Questi due fatti sono importanti: la tomba è vuota e Gesù è apparso realmente. Si costituisce così quella catena della tradizione che, attraverso la testimonianza degli Apostoli e dei primi discepoli, giungerà alle generazioni successive, fino a noi. La risurrezione è un fatto storico e non semplicemente un pensiero, un ideale filosofico, un artifizio formulato a posteriori.  I  primi Cristiani  seppero anche affrontare la morte per il loro credo in Gesù Cristo perché  erano convinti del fatto storico della risurrezione di Gesù, erano certi nel credere e affermare che senza ombra di dubbio Gesù Cristo era il Figlio di Dio, l’unico Salvatore del mondo. Di conseguenza, il messaggio della Chiesa primitiva era sempre incentrato sul fatto storico della risurrezione e questo non era un semplice mito teologico che iniziò a circolare tra i discepoli di Gesù Cristo 20 o 30 anni dopo di esso, ma era l’archetipo su cui si fondava il messaggio proclamato sin dal primo mattino del terzo giorno.

La prima conseguenza, o il primo modo di esprimere questa testimonianza, è di predicare la risurrezione di Cristo come sintesi e fondamento dell'annuncio evangelico, come punto culminante di un itinerario salvifico unico e irripetibile. Tutto questo Paolo lo fa in diverse occasioni: si possono consultare le Lettere e gli Atti degli Apostoli dove si vede sempre che il punto essenziale per lui è “essere testimone della risurrezione”.  Paolo, arrestato a Gerusalemme, sta davanti al Sinedrio come accusato. In questa circostanza nella quale è in gioco per lui la morte o la vita, egli indica quale è il senso e il contenuto di tutta la sua predicazione: "Io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti" (At 23,6). Questo stesso ritornello Paolo ripete continuamente nelle sue Lettere (cfr 1 Ts 1,9s; 4,13-18; 5,10), nelle quali fa appello anche alla sua personale esperienza, al suo personale incontro con Cristo risorto (cfr Gal 1,15-16; 1 Cor 9,1).

Ma possiamo domandarci:

qual è, per san Paolo, il senso profondo dell'evento della risurrezione di Gesù?

Che cosa dice a noi a distanza di duemila anni  l'affermazione che "Cristo è risorto" ?

Perché la risurrezione è per lui e per noi oggi un tema così determinante?

Paolo dà solennemente risposta a queste domande all'inizio della Lettera ai Romani, dove esordisce riferendosi al "Vangelo di Dio ... che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità in virtù della risurrezione dei morti" (Rm 1,3-4). Paolo sa bene e lo dice molte volte che Gesù era Figlio di Dio sempre, dal momento della sua incarnazione. La novità della risurrezione consiste nel fatto che Gesù, elevato dall'umiltà della sua esistenza terrena, viene costituito Figlio di Dio "con potenza". Il Gesù umiliato fino alla morte di croce può dire adesso agli Undici: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28, 18). E' realizzato quanto dice il Salmo 2, 8: "Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra". Perciò con la risurrezione comincia l'annuncio del Vangelo di Cristo a tutti i popoli , con la risurrezione comincia il Regno di Cristo, questo nuovo Regno che non conosce altro potere che quello della Verità, dell'Amore e del Perdono.

La risurrezione svela quindi definitivamente qual è l'autentica identità e la straordinaria statura del Crocifisso. Una dignità incomparabile e altissima: Gesù è Dio! Per san Paolo la segreta identità di Gesù, più ancora che nell'incarnazione, si rivela nel mistero della risurrezione.

Mentre il titolo di Cristo, cioè di “Messia,  in san Paolo tende a diventare il nome proprio di Gesù e quello di Signore specifica il suo rapporto personale con i credenti, ora il titolo di Figlio di Dio viene ad illustrare l'intimo rapporto di Gesù con Dio, un rapporto che si rivela pienamente nell'evento pasquale. Si può dire, pertanto, che Gesù è risuscitato per essere il Signore dei morti e dei vivi (cfr Rm 14,9; e 2 Cor 5,15) o, in altri termini, il nostro Salvatore (cfr Rm 4,25).

Tutto questo è pieno di importanti conseguenze per la nostra vita di fede: noi siamo chiamati a partecipare fin nell'intimo del nostro essere a tutta la vicenda della morte e della risurrezione di Cristo. Dice l'Apostolo: siamo "morti con Cristo" e crediamo che "vivremo con lui, sapendo che Cristo risorto dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui" (Rm 6,8-9). Ciò si traduce in una condivisione delle sofferenze di Cristo, che prelude a quella piena configurazione con Lui mediante la risurrezione a cui miriamo nella speranza. E' ciò che è avvenuto anche a san Paolo, la cui personale esperienza è descritta nelle Lettere con toni tanto accorati quanto realistici: "Perché io possa conoscere Lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti" (Fil 3,10-11; cfr 2 Tm 2,8-12).

La teologia della Croce non è una teoria, è la realtà della vita cristiana. Vivere nella fede in Gesù Cristo, vivere la verità, l'amore e il perdono, implica la consapevolezza a volontarie quanto  coscienti rinunce ogni giorno,( ..non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Rom .12,2), implica saper accettare anche le sofferenze. Il cristianesimo non è la via della comodità, è piuttosto una scalata esigente ma consapevole, illuminata però dalla luce di Cristo e dalla grande speranza che nasce solo nell’affidarsi completamente a Lui, credendo in Lui come condizione primaria per ogni scelta, in ogni frangente, prima di ogni pensiero. “ ..non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”( Gal. 2,20).

Afferma Sant'Agostino: Ai cristiani non è risparmiata la sofferenza, anzi a loro ne tocca un po' di più, perché vivere la fede esprime il coraggio di affrontare la vita e la storia più in profondità. Tuttavia solo così, sperimentando la sofferenza, conosciamo la vita nella sua profondità, nella sua bellezza, nella grande speranza suscitata da Cristo crocifisso e risorto. Il credente si trova perciò collocato tra due poli: da un lato, la risurrezione che in qualche modo è già presente e operante in noi (cfr Col 3,1-4; Ef 2,6); dall'altro, l'urgenza di inserirsi in quel processo che conduce tutti e tutto verso la pienezza, descritta nella Lettera ai Romani con un'ardita immagine: “.. come tutta la creazione geme e soffre quasi le doglie del parto, così anche noi gemiamo nell'attesa della redenzione del nostro corpo, della nostra redenzione e risurrezione” (cfr Rm 8,18-23).

In sintesi, possiamo dire con Paolo che il vero credente ottiene la salvezza professando con la sua bocca che Gesù è il Signore e credendo con il suo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti (cfr Rm 10,9). Importante è innanzitutto il cuore che crede in Cristo e nella fede "tocca" il Risorto; ma non basta portare nel cuore la fede, dobbiamo confessarla e testimoniarla con la bocca, viverla, pur con le mille cadute, con la nostra vita, rendendo così presente la verità della croce e della risurrezione nella nostra storia. In questo modo infatti il cristiano si inserisce in quel processo grazie al quale il primo Adamo, terrestre e soggetto alla corruzione ed alla morte, va trasformandosi nell'ultimo Adamo, quello celeste e incorruttibile (cfr 1 Cor 15,20-22.42-49). Tale processo è stato avviato con la risurrezione di Cristo, nella quale pertanto si fonda la speranza di potere un giorno entrare anche noi con Cristo nella vera nostra patria che sta nei Cieli.

                                                            

CHIESA: FAMIGLIA DI FAMIGLIE


           Parrocchie di San Rocco e San Lorenzo Martire                

CHIESA: FAMIGLIA DI FAMIGLIE

1-  Crisi di fede in famiglia,

Spesso ci capita di sentire frasi tipo: “Io credo a Gesù ma non voglio sentir parlare della  Istituzione Chiesa e dei preti, del vaticano, delle gerarchie ecclesiastiche...” e questo ci deve provocare nel profondo della nostra fede. Per noi sarebbe impossibile una Chiesa senza Cristo suo fondatore e capo ancora oggi presente e vivo in essa, senza Pietro su cui Cristo ha fondato la sua Chiesa, senza la ricchezza del dono dei sacramenti. Questa situazione di rifiuto si verifica talvolta anche nelle nostre famiglie, o introdotta dall'esterno, ad esempio la ragazza o il ragazzo di un nostro figlio/a, oppure perché sorge all'interno stesso del nostro contesto familiare. Un figlio/a che manifesta questa convinzione può divenire occasione di “crisi/dubbio” nei genitori che si chiedono: “In che cosa abbiamo sbagliato? Perché non siamo stati credibili nel nostro annuncio con i figli?” Addirittura questa difficoltà di fede può generare difficoltà in noi stessi a vivere quanto il Credo ci indica.

“Occorre quindi fare chiarezza su alcuni punti fondamentali di Chiesa come Popolo di Dio”

Innanzi tutto va detto che di questo concetto si è riappropriato, mettendolo in risalto,  il concilio Vaticano II e con esso, si intendono evidenziare due verità importanti:

 

-       La prima:

-        il carattere storico della Chiesa.

La Chiesa, erede del popolo dell’Antica Alleanza ampliato e redento da Cristo, non è una realtà disincarnata, che sta fuori o al di sopra della storia, ma una realtà inserita nel tempo, un popolo in cammino, che non cammina in disparte ma in mezzo agli altri popoli, condividendone i problemi, le difficoltà, le angosce, chiamata ad operare per le strade del mondo come il buon samaritano e il buon pastore.


- La seconda:

- la Chiesa è il popolo messianico che ha ereditato gli uffici messianici di Cristo.

l'ufficio sacerdotale, per cui si offre come vittima viva, santa, gradita a Dio per la salvezza di tutti gli uomini; l'ufficio profetico, per cui diviene messaggero del Vangelo inviato a tutte le genti, e l'ufficio regale, per cui ha il potere di instaurare il regno di Dio in questo mondo.

 
Questi uffici sono di tutto il popolo e di tutti i suoi membri; sicché non soltanto la gerarchia, ma anche tutti i fedeli sono investiti degli uffici del sacerdozio (sacerdozio comune dei fedeli), della profezia (dell'annuncio del Vangelo e pertanto del dovere missionario) e della regalità mediante il servizio (per instaurare il regno di Dio in questo mondo).

2-  Credo la santa Chiesa cattolica

La Chiesa è composta da coloro che professano e vivono il Credo. Il fatto di scoprire che la Chiesa è dove si vive la fede apre a un profondo senso di corresponsabilità sia al suo interno che all'esterno. Al suo interno ci impegna a un dialogo con le diverse realtà educative: oratorio, catechesi, animazione, movimenti, gruppi sportivi. Al suo esterno ci impegna in una prospettiva missionaria: annunciare la fede nel mondo del lavoro, dove i nostri figli studiano, nelle nostre abitazioni, nelle relazioni interpersonali, nelle varie istituzioni in cui possiamo essere presenti, rivolgendosi a tutti gli uomini di buona volontà e a coloro che ancora devono scoprirsi parte del Popolo di Dio in cammino in questa realtà terrena. Vivere la fede nella Chiesa per le nostre famiglie è partecipare alla comunità cristiana con la consapevolezza che in forza del sacramento del matrimonio ogni famiglia è una Chiesa domestica; realtà nella quale lo Spirito agisce e alla quale ha elargito i suoi doni.

3-  Questa è la nostra fede

Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti; con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. L’Anno della fede, in questa prospettiva, è stato un invito ad un'autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo e alla Chiesa Popolo di Dio in cammino quale sacramento di Cristo nel mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l'Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati nella gioia del perdono.

Per l'apostolo Paolo, grazie alla fede e al battesimo l’uomo viene introdotto in una nuova vita e in una comunità di fratelli: la Chiesa corpo di Cristo animata dalla carità. In quanto corpo di Cristo, la comunione è l'anima della Chiesa. La fede in Dio Trinità ci dice che la comunione è possibile ed è un dono che accogliamo da Lui; è grazia e non la somma dei nostri sforzi o il frutto delle nostre buone volontà. Ciò che ci fa diventare costruttori di comunione è prima di tutto il credere all'amore di Cristo, che ha dato il suo sangue per ogni uomo e donna. Ciò significa vivere la comunione come un'esigenza oggettiva della nostra fede, uniti a tutta la Chiesa universale, e senza cadere in arbitrarie selezioni di persone e di compiti ecclesiali. La Chiesa è una: nonostante la diversità di popoli e culture; ci sono vincoli di unità, quali la professione di fede, la celebrazione comune dei sacramenti, la successione apostolica. Sappiamo che ci sono ferite che hanno provocato scismi, come quello con la Chiesa Ortodossa, Protestante o Anglicana. La Chiesa è santa perché santo è il suo fondatore e perché essa stessa strumento di santificazione, nei sacramenti.

La Chiesa è cattolica, cioè universale perché in essa è  pienamente presente Cristo e perché la missione della Chiesa è per tutto il genere umano. Ogni Chiesa locale esprime le caratteristiche della Chiesa universale, unita a quella di Roma che “presiede nella carità”.

La chiesa è presente poi nelle parrocchie e in esse c’è una ulteriore presenza speciale della Chiesa: la famiglia piccola Chiesa o Chiesa domestica. Ogni parrocchie è e dovrebbe sempre più essere una famiglia di famiglie.

4- La Chiesa domestica

La famiglia cristiana è stata chiamata dal Concilio Vaticano II “Chiesa domestica”.  E’ giusto sottolineare  tre analogie fondamentali tra la Chiesa e la famiglia. Come la Chiesa, anche la famiglia è: Vocazione - Mistero - Ministero.

a)  Famiglia come vocazione

Come la Chiesa, la famiglia è una comunità di chiamati dall’amore di Dio alla santità, a fare l’esperienza di un amore più grande. Il Signore chiede agli sposi cristiani di amarsi di un amore che renda presente l’amore di Cristo per la sua Chiesa e per l’umanità (Ef 5,23): amore fedele, irrevocabile, amore misericordioso e gratuito, amore crocifisso, amore aperto a tutti. Dio non chiede nulla senza donare ciò che chiede: Lui ama per primo e ci mette sempre in condizioni di rispondere, se lo accogliamo e diciamo il nostro “sì” fidandoci pienamente di Lui.   L’amore coniugale è partecipazione alla vita trinitaria, è segno dell’amore con cui il Padre e il Figlio si amano, un amore così forte che diventa persona (Spirito Santo) ed è l’amore, la fonte dell’indissolubilità del Matrimonio Sacramento. Questa unione non è un impegno legale, ma una realtà mistica: le Tre Persone abitano il cuore di chi crede e rendono possibile una fedeltà senza ripensamenti se Dio è la fonte perenne ed inesauribile del nostro amore. Il matrimonio è cammino verso questa pienezza: come ogni cammino finirà, ma camminando avremo imparato ad amare. Ogni credente vive un rapporto di coniugalità con l’Assoluto e lo costruisce nella preghiera personale. Ai coniugi sono anche chiesti momenti di preghiera di coppia e di famiglia, perché, come l’amicizia si costruisce con la presenza, con il dialogo, così l’amicizia con Dio si costruisce con la preghiera  e la vita sacramentale che sono il dialogare con DIO.


b)  Famiglia come mistero

Il “mistero” che la famiglia vive in analogia con il mistero della comunità ecclesiale, è l’essere segno e strumento dell’amore che salva. Non sempre la famiglia è ciò che dovrebbe essere, ma conosce momenti di amore e di peccato, di slancio e di arresto, come la Chiesa nel suo cammino verso la Salvezza. E’ la fedeltà di Dio l’unica fonte di speranza. Per l’una e per l’altra,( chiesa e famiglia) nonostante ogni cedimento, rimangono punto fermo i Sacramenti, con i quali si è fortificati ed arricchiti dalla vita di Cristo che ci viene donata. La Chiesa genera, educa, edifica la famiglia cristiana; questa, a sua volta, genera e cresce figli. I figli sono mistero per i genitori, come sono mistero per la Chiesa i suoi figli. La famiglia, come la Chiesa, è sollecita verso ogni figlio, lo segue, lo ama, lo educa, desidera che sia fedele, ma è impotente di fronte ai suoi rifiuti, di fronte al suo allontanamento. Sia la Chiesa che la famiglia devono primariamente avere la capacità di vivere di accettazione, di attesa orante, di accoglienza, di perdono. Modello di questo è Gesù che chiede al Padre di perdonare coloro che non sanno quello che fanno e a Maria di accettare in Giovanni tutti gli uomini, anche chi lo stava uccidendo. Egli continua a chiedere questo a noi, oggi: amore, fedeltà, perdono.

c)  Famiglia come ministero

La famiglia è piccola Chiesa nel suo “ministero”: è comunità di persone chiamate al servizio del mondo. Solo l’amore vero, autentico è un amore aperto a tutti, non chiuso nella piccola cerchia delle mura domestiche, concentrato solo su se stesso, ma aperto e attento ad un orizzonte più ampio.

L’amore che non viene messo al servizio degli altri è un dono destinato a svilirsi, perché è un “egoismo a due” contrabbandato come amore. In base a come si intende e si vive l’amore, il matrimonio esiste o cessa di essere o si interrompe. Spesso la nostra vita è come una strada soggetta a smottamenti. Per riparare una strada si rifà il terrapieno; per ristabilire l’amore si vive il Sacramento della Riconciliazione perché il perdono rifà nuove tutte le cose. La qualità dell’amore determina anche il rapporto con i figli.  Una forzata ed esasperante progettualità su di loro diventa egoismo, perché i genitori a volte dimenticano di essere solo custodi, animatori della loro vita, mai padroni. I figli sono fratelli nella fede, esseri liberi e misteriosi affidati ai genitori, perché diventino adulti secondo i loro talenti. E’ egoismo pretendere o dare per scontato che i fratelli a priori si debbano voler bene l’un l’altro o che siano generosi con gli amici; impareranno a volersi bene e ad essere generosi solo dopo una lenta opera di testimonianza vissuta, che insegnerà loro a riflettere e a scegliere.  La famiglia ricca di fecondità è quella che esce dai limiti della sua casa, si apre alle altre coppie, ai problemi, alle gioie, alle sofferenze degli altri, ai bisogni di giustizia, di solidarietà di tutti, è attenta ai piccoli, ai poveri e fonda il suo essere in Dio Padre dispensatore di ogni bene, è la famiglia che ogni giorno costruisce pazientemente l’amore che vive e in cui crede anche nei piccoli gesti.

Nella comunità cristiana la famiglia porterà il suo stile di accoglienza, di calore, di perdono, e dallo stile della liturgia nella quale sempre e dovunque la comunità si manifesta e rende grazie al Signore, imparerà il mistero della Provvidenza, il valore insostituibile della gratitudine, sarà capace di uno sguardo di benevolenza verso tutti i fratelli, imparerà a rendere grazie per le presenze e le diversità, per le piccole e grandi realtà quotidiane con le loro luci e con le loro  ombre, vivrà la grazia e la gioia del perdono.

Momento di scambio e dialogo comune

Domande per il singolo

1.   Davanti a uno che dice “Cristo sì, la Chiesa no”, fino a che punto sono disposto/a a testimoniare che io “credo la santa Chiesa cattolica”?

2.   Come reagisco alle obiezioni alla santità della Chiesa? Come posso far cogliere il mistero della Chiesa a chi non lo conosce?

3.   Mi sforzo di cogliere il mistero di Chiesa presente nella mia comunità parrocchiale con tutti i limiti che riconosco?


Domande per la coppia

1. Siamo più stupiti o spaventati dal fatto che Dio paragona il suo rapporto con la Chiesa a quello della coppia, quindi della nostra coppia? Che cosa ci stupisce e cosa ci spaventa?

2. Siamo consapevoli che siamo chiesa domestica e che siamo vocazione, mistero e ministero? Quali gesti compio, in famiglia, perché si possa sperimentare che è “Piccola Chiesa”? (perdono - preghiera - servizio - accoglienza -  speranza - ecc.)

3. Le fragilità, le imperfezioni, le incomprensioni che viviamo tra noi sono simili a quelle che si vivono nella Chiesa: ci sforziamo di vivere nella preghiera anche questi “limiti”? Nei confronti dell'altro/a e della nostra comunità, abbiamo uno sguardo fatto di stupore e di accoglienza, di umiltà e di affetto, di dedizione appassionata e fedele?

Domande per il Gruppo familiare

1. Quali punti della dottrina della Chiesa “una, santa, cattolica” troviamo difficili da accettare e cosa facciamo per riuscire ad osservarli anche se ci costa fatica?

2. Qual è il nostro sguardo nei confronti della parrocchia in cui viviamo: la vediamo più come istituzione, organizzazione burocratica, struttura di solidarietà e beneficenza, agenzia educativa... o è altro?

3. È palese, dalle scelte che fa e dai progetti che ha, la sua origine trinitaria? Come possiamo aiutarla, in quanto famiglie, ad essere famiglia di famiglie?

Concludiamo pregando

(Credo nel popolo di Dio, Professione di fede pronunciata da papa Paolo VI il 30 giugno 1968 alla chiusura dell'Anno della fede e nel diciannovesimo del martino dei santi Apostoli Pietro e Paolo)

Noi crediamo nella Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, edificata da Gesù Cristo sopra questa pietra, che è Pietro.  

Nel corso del tempo, il Signore Gesù forma la sua Chiesa mediante i Sacramenti, che emanano dalla sua pienezza.

È con essi che la Chiesa rende i propri membri partecipi del Mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, che le dona vita e azione.

Essa è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l'irradiazione della sua santità.

Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli con il Sangue di Cristo e il dono dello Spinto Santo.

Noi crediamo che la Chiesa, che Gesù ha fondato e per la quale ha pregato, è indefettibilmente una nella fede, nel culto e nel vincolo della comunione gerarchica.

Noi nutriamo la speranza che i cristiani, i quali non sono ancora nella piena comunione con l'unica Chiesa, si riuniranno un giorno in un solo gregge con un solo Pastore. 

 

Vivere la fede

Organizziamo un incontro col parroco nelle nostre case per condividere i contenuti di questo incontro e decidere insieme cosa può fare la nostra famiglia per sentirsi corresponsabile della comunità, chiesa domestica nel senso pieno del termine.