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lunedì 19 settembre 2011

le storielle della mia nonna


I FICHI DEL PARROCO


C'era una volta un parroco che aveva un orto dietro la canonica dove troneggiava nel centro una bellissima pianta di fichi. Il parroco era molto orgoglioso della pianta di fico, tanto da prestarle mille cure perché si mantenesse sempre rigogliosa. Un anno, alla fine dell’estate, fra le foglie vide due grossi fichi che stavano per maturare. Quando gli sembrò che fossero maturi chiamò il figlio di un suo parrocchiano perché i due splendidi fichi erano proprio in cima alla pianta e gli disse: "A mezzogiorno mi coglierai quei due fichi e me li porterai sopra un piatto". Quando fu mezzogiorno, il ragazzino ligio all’incarico ricevuto si arrampicò sull’albero, colse i fichi e li posò su di un piatto. Però appena se li vide davanti, non riuscì a resistere alla tentazione e mentre andava dal parroco se ne mangiò uno. Il parroco appena vide il piatto con un solo fico tuonò : "Dov’e’ l’altro fico?". "L’ho mangiato", ammise il bimbo. "Ah si? E come hai fatto?". Il ragazzino apparentemente tanto impaurito perché non aveva mai viso il suo parroco tanto arrabbiato rispose:” così “ , E preso il secondo fico per il picciolo senza sbucciarlo se lo portò velocemente alla bocca ingoiandolo in un sol boccone e bofonchiando con la bocca ancora piena di quella delizia:” ecco come ho fatto a mangiare il primo fico signor parroco  ”. Il parroco dopo un attimo di totale sbalordimento sorrise,suo malgrado alla furbizia del ragazzino, rimandando all’anno successivo il suo pranzo a base di fichi.

Chiesa “Popolo di Dio in cammino”

Chiesa “Popolo di Dio in cammino”



Nella mentalità di molti, la chiesa cattolica è vista come un’organizzazione strutturata in forma pi-ramidale dove il potere è concentrato nella figura del Papa e dei vescovi, dei parroci, dei religiosi, mentre ai laici è assegnato il compito di essere fedeli alle direttive dei vertici senza neanche porsi troppe domande. Il Concilio Vaticano II afferma che la chiesa dove essere intesa, vissuta e perce-pita e deve proporsi agli occhi del mondo come “Popolo di Dio”. In questo Popolo tutti sono chiamati a concorrere al bene comune facendosi servi gli uni degli altri. Una simile affermazione rimanda primariamente ed impone il cristianesimo come una fede e non come un insieme di pratiche e precetti religiosi. Una “Fede” “non una pratica religiosa o scaramantica “ una fede che fonda la sua certezza e trae continua ispirazione nella persona di Cristo, sorgente a cui la chiesa stessa è chiamata a uniformarsi, convertirsi ed imitare costantemente. Occorre però comprendere appieno il significato di “uniformarsi a Cristo”. Scriveva l’apostolo Paolo alle prime comunità cristiane: “Cristo Gesù pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini". Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. Fil 2,6-11)


Benedetto XVI il 20 giugno 2010, in occasione dell’ordinazione sacerdotale di 14 diaconi, ha sotto-lineato loro: “Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero”.


Evangelizzare la Chiesa, popolo di Dio
• I documenti del Vaticano II presentano un messaggio originale per la Chiesa: una vera e propria «nuova» evangelizzazione.
• Questa nuova evangelizzazione riguarda in particolare la concezione di Chiesa che dobbiamo imparare a ripensare e rileggere come popolo di Dio.
• Accogliere e vivere la novità è sempre molto importante per il cristiano: Dio, infatti, è colui che “ha fatto nuove tutte le cose”.
• Per metterci in questa disposizione di accoglienza del nuovo occorre ascoltare, ricordare, convertirsi. Si scoprirà che il Concilio riattualizza la parola che Dio Padre, nel Figlio Gesù (il Verbo), dice dall'origine del mondo e che lo Spirito d'amore ripete e rende comprensibile nel tempo e nei tempi dell'uomo, creatura storica: “
...Ascolta, dialoga, ricorda, convertiti...”


1) Ascolta...
Al centro di questo ascolto sta la Parola di Dio, Cristo («Cristocentrismo» - cf LG 1).
La Chiesa è sacramento visibile di Cristo se è segno dell'amore di Dio per tutta l'umanità e quindi fonte e inizio dell'intima unione di tutto il genere umano. La Chiesa avvia la realizzazione dell'unità promovendo, con l’annuncio e le opere di carità e giustizia, il disegno di Dio: “Ricapitolare in Cristo tutte le cose, riappacificare gli esseri della terra e quelli del cielo” (cf Col 1,15-20).
La Chiesa è chiamata ad introdurre il Regno rimanendo in attento, fedele e ubbidiente ascolto dello Spirito che la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici (cf LG 1-8).
Non deve insorgere alcuna disputa. Gesù insegna ai discepoli che nel Regno non si discute su chi è il primo o il più grande, ma ciascuno si fa servo di tutti (cf Mt 9,33-40).
L'amore in cui è radicato il buono, il bello e lieto annuncio, non stabilisce criteri di priorità. Si ama gratuitamente e ci si lascia amare, il “respiro” dello Spirito soffia dove vuole e ogni uomo può solo coglierlo ed accoglierlo, renderlo vivo e operante nella Chiesa, nel mondo, nel vissuto quotidiano.
L'amore che la Chiesa è chiamata a vivere si diffonde non per imposizione, legge o prescrizioni, ma uniformandosi al suo Signore per mezzo della carità, della giustizia, dell’abnegazione, dell’umiltà. In questa prospettiva d'amore la Chiesa diventa, tra l'altro, immagine di “Popolo di Dio” “Famiglia di Dio”.
Popolo di Dio, come da sempre si è riconosciuto il popolo dell'alleanza che è stato scelto gratuita-mente da Dio, come ci ricordano i testi sacri dalla Genesi all'Apocalisse. Dio vuol santificare e sal-vare gli uomini non individualmente, ma costituendo un popolo (cf LG 9).
In Abramo sono benedette tutte le famiglie della terra (cf Gn 12,3). Mosè si rivolge a Dio dicendo: “Considera che questa gente è il tuo popolo... un popolo di dura cervice“ (Es 33,13). Paolo pro-clama che in Cristo vi è un solo popolo perché “Egli… (Cristo) è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce...” (cf Ef 2,14-18): e ag-giunge: “Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,6). Paolo, evidentemente, non promuove l'anarchia, l’individualismo, il soggettivi-smo, ma pone l’accento su comunità, accoglienza, ascolto e discernimento da parte di tutti, in co-munione gli uni verso gli altri.
Il Figlio di Dio facendosi uomo ha incarnato tutta l'umanità passata, presente, futura. Non ha e-scluso nessuno dalla sua chiamata, arrivando al punto, realtà inconcepibile per gli israeliti, di toccare i lebbrosi, di dialogare con i gentili, di mangiare con i pubblicani, di promettere e permettere l’ingresso nel suo Regno a ladri, prostitute e peccatori a tutti gli uomini figlio dell’unico Padre che è nei cieli, perché “Egli fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni, e manda la pioggia sui giusti e sugli ingiusti" (Matteo 5:44-45)
“Gesù ricordati di me quando sarai nel tuo regno” (Lc.23, 42) meditando su questo fatto evangelico la mentalità del nostro tempo a fronte di una simile richiesta ci avrebbe suggerito di chiedere delle garanzie, ponendo comunque mille limiti e distinguo a chi osava azzardare una simile pretesa perché innanzitutto “era un ladro”, un peccatore, uno che meritava almeno la giusta punizione per le azioni e gli errori commessi, uno che aveva sbagliato e doveva essere punito. Ma la risposta di Gesù è una risposta immediata di amore incondizionato: “in verità ti dico, oggi sarai con me in pa-radiso”. (Lc.23, 43). Oggi da subito, parola data ad un ladro condannato a morte per le sue azioni e per sua stessa ammissione di colpa, non ad un pio ed integerrimo benpensante, parola data a chi, convertendosi, capiva di avere sbagliato.
Era già esaltante l’annuncio di alcuni passi del vecchio e del nuovo testamento dove si afferma “un atto di bontà cancella una moltitudine di peccati” (1 Pt. 4, 8- Mt 26, 28 - Gc.5,19-20) o nel salmo 96 di Davide “ Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto.”
Ma con Cristo la prospettiva si spinge e va oltre ogni aspettativa, un atto di pentimento “sincero” “un cuore nuovo” spalanca le porte della grazia immettendoti da subito nella gioia e nella beatitudine del Regno di Dio, tra le braccia di quel Padre che aspettava ogni giorno il ritorno del figlio, non per rinfacciargli gli errori e il patrimonio dilapidato, ma per fare festa per averlo riavuto con sé.
“Donna nessuno ti ha condannato"? Nemmeno io ti condanno, va e non peccare più. Gv 8,11.) “ Io sono il buon pastore... ( ci ricorda Gesù) le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia ma-no" (Gv. 10:11,27-28.)
Se il popolo di Dio vuol seguire l'esempio dell'unico Maestro, deve comportarsi nel quotidiano in modo analogo, continuare l'incarnazione nella celebrazione eucaristica, nella preghiera comunitaria e personale, e nel farsi pellegrino d'amore nel mondo, nel sociale e nel politico questo è quanto ci ricorda Gaudium et Spes (cf GS 31 e 44).


2) Dialoga…
......Dialogando si formano i veri uomini, i veri figli di Dio
Il dialogo che se vuole restare tale, accetta anche la critica, il dubbio, la contestazione e non si accontenta di una passiva accettazione delle regole, dialogando si formano i veri uomini, i veri figli di Dio, disposti a sostenere le proprie ragioni, ma anche capaci di riconoscere i propri limiti, superare le crisi, comporre i conflitti, chiedere e dare perdono per le reciproche colpe e incomprensioni. Solo in questo modo si è promotori, di un’azione dinamica che fa sviluppare e crescere un rapporto d'amore, partecipazione, collaborazione. (Nella comunità ecclesiale, tale dinamica è bene espressa da At 18,1-4).
Il popolo di Dio ( Clero e laici ) deve educarsi ad un continuo confronto al suo interno. A volte, in buona fede, si crede che, per il bene di tutti, le verità e le scelte calate dall'alto evitino fratture e appartenenze parziali, ma l’unità è una conquista a cui tutti devono collaborare con i propri carismi, con il proprio impegno, l’unità va costruita, voluta, desiderata, l’unità non può essere imposta.
La Parola di Dio è da sempre tradotta dal linguaggio umano, con sensibilità e culture diverse, a volte con possibili fraintendimenti. Non è quindi mai accessibile nella sua splendida e luminosa verità. È necessario che lo Spirito intervenga continuamente nella storia per “condurci alla verità tutta intera” (Gv 16,13). Il dono di Dio la rende “ la Parola” sempre viva e appropriata al tempo storico in cui deve realizzarsi. È quindi necessario che tutti i membri della Chiesa, presbiteri o laici, prendano coscienza e conoscenza delle situazioni concrete e storiche dell'uomo, non per modificare e adat-tare la Parola, ma per renderla appropriata e sempre viva nell'oggi, capace di essere primo punto di conversione per chi l’annuncia e a chi essa “La Parola” viene annunciata.
La Parola di Dio non è parola “congelata” da tirar fuori nelle feste comandate, servirla, e servirse-ne... in rare occasioni, rilegata all’interno delle chiese. Deve essere parola d'amore che fa innamo-rare, sempre nuova e sempre sconosciuta ed ogni volta riscoperta. Parola di tutto il popolo, di ogni famiglia, non solo di specialisti (cf DV 8), annunciata in tutti i luoghi proclamata sapendo che è Pa-rola di Colui che converte e tocca il cuore di tutti gli uomini. Certo, vi possono esse pericoli di ac-centuazioni diverse, errori di espressione, esiste il rischio di una soggettiva e libera interpretazione, il rischio del fanatismo; ma questi rischi sono i primi segnali che avvertono che “la Parola non è stata compresa, che non si è radicata nel cuore prima di essere proclamata, che non è stata motivo di conversione". “vi darò un cuore nuovo metterò dentro di voi uno spirito nuovo”. Solo accettando il rischio il popolo di Dio diventa “familiare” con la Parola, e può trasformarsi in annuncio, azione vi-vente, conversione operante e santificante nella quotidianità, la Parola è il mezzo sempre nuovo di conversione. Se la Parola è solo predicata e ascoltata in modo anonimo e non entra nel contesto vitale di un popolo diventa lingua morta è uno sterile annuncio che riguarda nessuno è solo un fatto, un ricordo sterile del passato.
Ogni cristiano deve essere capace di cogliere, leggere e tradurre i segni dei tempi. Il Signore, Creatore e Padre, ha accettato il rischio di creare l'uomo “libero” e ha quindi previsto la possibilità di non essere riconosciuto ed amato. Si può avere la presunzione di fare di più e meglio?
“Vivete nella verità e la verità vi renderà liberi” (Giov.8) “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù." Gal.5)


3) Ricorda…
Fra Dio e il suo popolo vi è una reciprocità di “ricorda” ….. “Shmà Israel”
Facendo memoria (Ricorda, Israele... ) delle grandi, meravigliose, impensabili opere compiute da Dio nella storia, il popolo di Dio è fondamentalmente ottimista e fiducioso. Tutto concorre al bene finale che Dio ha posto come traguardo della creazione: senso in divenire della vita, senso in dive-nire della storia.
Le tappe intermedie o di transizione, come è definita quella attuale, possono presentare zone d'ombra, pericoli, sofferenze, dolore e morte, ma vi è sempre e finché saremo realtà di questo mondo, sempre ci sarà “un resto di Israele” che ricondurrà l'umanità alla casa del Padre.
Dio si ricorda del suo popolo, da Noè (Gn 8,1) al canto del Magnificat: “Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia” (Lc 1,54) e nel Benedictus: “...si è ricordato della sua santa alleanza” (Lc 1,72).
Cristo è l'Amen, α e Ω, principio e fine, la roccia su cui si radica il popolo di Dio, la famiglia di Dio che - quando è fedele al Suo amore e al suo modo di viverlo, diventa “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui... voi che un tempo eravate non popolo, ora invece siete il popolo di Dio” (1 Pt 2,9-10).
Dio già a Mosè si era fatto conoscere come “il sempre presente”; Gesù è l'incarnazione dell'Em-manuele, il Dio con noi nella storia; ieri, oggi, domani) La Chiesa, popolo messianico (LG 9), con il dono del senso della fede che procede dall'unzione dello Spirito, diventa popolo profetico che esorta con dolcezza e mansuetudine alla conversione di cui essa stessa è testimone e penitente, redenta e redentrice.


4) Convertiti…
Tutto il popolo, dal primo all'ultimo dei fedeli, secondo il ministero di ciascuno, è corresponsabile della risposta alla vocazione, che è un continuo convertirsi all’”Amore” legge fondamentale conte-nuta nell'annuncio evangelico.


La nostra conversione ci impegna a:


- Vivere il coraggio di essere noi stessi, nell’autenticità, coerenza, lealtà; essere al servizio della comunione e dell’edificazione della Chiesa (cf 1 Cor 14,4ss; Rm 12,5ss) da portare a compimento nella carità che è il vincolo della perfezione (cf LG 13).
- Vivere l'umiltà, non sovrastimarci e crederci i detentori della verità tutta intera. Accettare e praticare la correzione fraterna (cf LG 37). Porci sempre in ascolto, essere in relazione con tutti, specialmente con i piccoli, i poveri, i semplici. Come dice Paolo, non è la sapienza che avvicina a Dio e ai fratelli, ma l'amore gratuito (cf 1 Cor 13).
- Vivere l'audacia dell'indignazione contro gli scandali, e della protesta contro gli uomini e i po-teri che non perseguono la giustizia e la pari dignità di tutte le persone.
- Vivere senza la paura dell'altro, del diverso che incontriamo, sentirlo in ricerca e in cammino come noi, per rispondere in modo personale e originale alla chiamata (...chi sono i lebbrosi, qui da noi, oggi?) “Se non ami il fratello che vedi, come puoi dire di amare Dio che non vedi?” (Gio-vanni 4. 20.)
- Vivere l'obbedienza e la disobbedienza per dare sempre il primato (la preferenza) alla voce di Dio che parla alla coscienza di ogni uomo libero da schiavitù e idoli. Gesù è stato obbediente perché ha ”con-sentito” sempre con il Padre.
- Vivere la libertà come responsabilità reciproca e condivisa per crescere insieme. In tutti noi vi è il seme del bene, e siamo segnati dal male, dal limite, dalla fragilità. Dobbiamo impegnarci per rea-lizzarci sempre più come persone capaci di comprendere, valutare, discernere, scegliere. Avere una fede adulta in una comunità adulta.
- Vivere sapendo che siamo stati schiavi in Egitto, deportati in Babilonia, perseguitati dal razzi-smo, profughi ed emigranti nel mondo intero.
- Vivere pregando, ogni tempo è tempo di preghiera, lavoro, riposo, liturgia, divertimento; non manchi mai la lode e il ringraziamento a Dio di farci vivere in un tempo così interessante, e la ri-chiesta di renderci capaci e desiderosi del dono della conversione.


L'evangelizzazione della Chiesa come popolo di Dio si realizza quando la Parola di Dio, incarnata in Gesù, diventa tessuto vitale nel quotidiano del credente fedele, nella famiglia, nella comunità, nella società.
Tessuto vitale è l'intreccio creato e voluto, tra la verticalità del rapporto Dio - uomo e l'orizzontalità delle relazioni tra gli uomini che imparano a riconoscersi fratelli.
Edificare la Chiesa come popolo di Dio è opera gradita a Dio, e ascende “con soave odore” come vero sacrificio, e discende come benedizione sulle genti, perché dice il Signore – “Io troverò la mia gioia nel far loro del bene” (Ger 32,41).


LG . Lumen Gentium costituzione dogmatica sulla Chiesa


GS . Gaudium et Spes costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo


DV . Dei Verbum costituzione dogmatica sulla divina rivelazione

domenica 4 settembre 2011

ehi ragazzi ………………Ricominciamo dal numero “ UNO ” ?

ehi ragazzi ………………

                                          Ricominciamo dal numero “ UNO ” ?


A 13-14-15-16 anni, la messa, la confessione, e tutta l'altra "roba" di chiesa cominciano a pesare: "A cosa mi servono? Le faccio da tanti anni, adesso quasi quasi mi sono stu-fato!".
A quella età , tutto sembra più inte¬ressante, vero, attraente delle cose imparate al catechismo: "Ci pensi? È dalla prima elementare che vado al catechismo. Che barba: e questo non lo devi fare, e quest'altro non lo puoi fare... Non puoi fare niente perché tutto è peccato. Ma adesso basta! La cresima ormai l'ho fatta: ora si cambia!".
Se però uno chiede ai ragazzi e alle ragazze di 13-14-15-16 anni: "Chi è Gesù?", essi si trovano in difficoltà.
"Ma si, è quello delle pecorelle del presepe, quello della parabola dei talenti... Cose anche belle, ma da bambini piccoli. Noi adesso siamo grandi e abbiamo altro a cui pensare. Tanto più che, a questo Gesù, piacciono le cose che non piacciono a noi e vice-versa!".
Succede così che troppi ragazzi e troppe ragazze allentano i loro legami con il cristianesimo, spesso fino a romperli del tutto, senza aver conosciuto davvero Gesù Cristo. Qualche volta addirittura, i ragazzi e le ragazze smettono di considerarsi cristiani per gli stessi motivi per cui dovrebbero incomin¬ciare a diventarlo: il desiderio di libertà, la voglia di essere conside¬rati importanti come i grandi, il bisogno di amicizia, il sogno dì un mondo più bello, più pulito, più in pace.
Capita cosi ai ragazzi e alle ra¬gazze di scegliere a occhi chiusi, a casaccio, per sentito dire. E come se un tizio, dopo aver visto quattro ragazzini giocare sotto casa con un pallone sgonfio, decidesse che il gioco del calcio è una cosa poco interessante, quasi scema...
Come si fa a giudicare il calcio senza aver visto qualche partita di serie A, di coppa, della nazionale?
Come si fa a decidere se conti¬nuare o meno ad essere cristiani senza aver conosciuto Gesù?
Te lo immagini tu un ragazzo e una ragazza che, con tante cose interessanti da scoprire, si mettono a perdere tempo per conoscere Gesù?
Si può vivere anche di pubblicità, di vestiti firmati, di canzonette, di pallone, di discoteca e di gossip... il somaro di zio Checco è grande e grosso e non conosce Gesù e vive lo stesso. Ma prima o poi, anche nei ragazzi e nelle ragazze di 13-14-15-16 anni, nasce il desiderio di capire se stessi, la vita, quello che ci circonda, la storia. A questo punto non si può fare a meno di conoscere Gesù: niente è più comprensibile senza di lui. Egli è venuto in mezzo a noi e ci costringe a fare i conti con lui, a scegliere, a decidere.


Le acque della storia degli uomini scorrevano tranquille.
Da una parte i liberi con tutti i diritti e dall'altra gli schiavi con tutti i doveri. Da una parte i maschi, padroni, e dall'altra le femmine, sottomesse ai pa¬droni.
Da una parte i vincitori e i domi¬natori e dall'altra i vinti e gli op¬pressi.
Da una parte i ricchi, i forti, i belli, gli istruiti e dall'altra i poveri, i deboli, i brutti, gli ignoranti.
Poi, quando i tempi furono misteriosamente pronti, sotto l'impe¬ratore Cesare Ottaviano Augusto, in una fredda notte, in uno sperduto paese dell'impero più grande del mondo, nell'anno 754 dalla fonda¬zione di Roma, nacque Gesù, in un paesino il cui nome è e resta tutto un programma Betlemme: Bet (casa) e Lehem (pane).
Da quel momento, le acque della storia degli uomini cominciarono ad agitarsi come se fossero state sconvolte da un terremoto sottoma¬rino, perché questo umile uomo mette tutto in discussione: non c'è né schiavo né libero, né maschio né femmina, né povero né ricco, perché siamo tutti fratelli.
Da quella lontana notte, le acque non si sono più calmate e meno che mai oggi: Gesù disturba, i sogni tranquilli degli uomini come di¬sturbò quelli dei magi, dei pastori, dei sacerdoti del tempio, di Erode, di coloro che sbagliano e la cui coscienza continua a domandargli di non sbagliare.
È impossibile contare tutti i libri su Gesù e comincia ad essere difficile elencare anche i film incentrati su di lui.
A favore o contro, con amore o con rabbia, con fede o con diffi¬denza, sembra proprio che non si possa fare a meno di parlare di lui, di quest'uomo piombato in mezzo alla storia degli uomini con l’incre¬dibile pretesa di essere uno di loro, ma anche il loro Dio.
Libri geniali o libracci, film stu¬pendi o filmacci. Non c'è via di mezzo. Quando si parla di lui è necessario schierarsi: o se ne dice un gran bene oppure se ne dice un gran male. In ambedue i casi, le folle si movimentano, si schierano da una parte e dall'altra, i senti-menti si infuocano; di fronte a lui non è possibile rimanere indiffe¬renti.
Non c'è niente da fare: dalla na¬scita di Gesù, la storia non è più la stessa.
Ogni tanto sbuca fuori qualcuno convinto di aver inventato qualcosa di nuovo sulla vita degli uomini. Illusione! Lui l'aveva già detta: af¬fermata o condannata. A tutti gli altri, non rimane altro che capire meglio, chiarire, spiegare, tentare di imitarlo. Ma lui l’aveva già detta.
A volte, anche per lunghi periodi, si crede di poter fare a meno di lui. Ma poi ci si accorge, fatalmente, che bisogna tornare a lui, da lui ricominciare a discutere, a capire a scegliere.
Anche chi non lo conosce, anche chi non ne ha mai sentito parlare, anche chi lo vorrebbe azzerare e cancellare dai libri di storia, finisce per affermare o negare quello che ha già detto lui.
La fratellanza, la giustizia, la pace, l'amore, la speranza, il perdono... sono tutte parole sue. E sono le parole che ogni uomo vorrebbe dire, ascoltare e sperimentare.


Gesù è scomodo
Gesù è scomodo per tutti.
Per chi già lo conosce, perché il suo messaggio è esigente. Perché coloro che lo conoscono vengono additati: "E poi dite di essere .cristiani!".
Per chi non lo conosce, perché essi avvertono di andare cercando quello che lui ha detto.
Gesù è scomodo per i grandi, perché si accorgono di essere arri¬vati a 40, 50, 80 anni e di non aver capito ancora quasi niente di lui.
È scomodo per i bambini, perché appena capiscono, si sentono dire: "Lui vuole così, Lui non vuole così".
È scomodo per i ragazzi e le ragazze, che, nel momento della crescita, vorrebbero liberarsi di lui come di tutti gli altri personaggi delle favole e della fantasia: Babbo Natale, la Befana, Pinocchio, Cappuccetto Rosso, Peter Pan, Biancaneve, Mandrake, Superman.
E invece lui rispunta fuori sempre, dappertutto.


Anche i ragazzi e le ragazze si domandano
Anche i ragazzi e le ragazze, se veramente vogliono crescere e di¬ventare grandi, non possono non domandarsi:
"Ma questo Gesù è vero o falso?
È esistito realmente oppure no?
Cosa ha fatto e cosa ha detto realmente?".


La strada giusta: i Vangeli e il tuo cuore.
Per trovare risposte serie a queste domande ci sono solo due strada da percorrere: quella dei vangeli, quattro libretti che parlano di lui e quella del tuo cuore.
Se non li si conosce, si parla a vuoto, a vanvera, ripetendo a pap¬pagallo quello che hanno detto altri, se non lasci parlare il tuo cuore ti sembrerà tutto arido, tutto privo di senso.
Ma possono dei ragazzi di 13 anni capire dei libri sui quali uo¬mini con quattro lauree non fini¬scono di scervellarsi, sono capaci di ascoltare la voce del cuore?
Possono certamente. È chiaro che essi non possono capire tutto - ma chi può capire tutto dei vangeli? - ma quel tanto che basta per partire con il piede giusto. Possono ascoltare e capire la voce del cuore se in silenzio sinceramente lo sapranno interrogare.
Se uno, in prima elementare, inizia la scuola imparando che due più due fanno cinque e che tre per otto fa quarantaquattro, crescendo, non azzeccherà più un conto.
È così anche per i vangeli. Se uno da piccolo, parte con le idee sba¬gliate, in seguito gli sarà molto diffi¬cile ragionare bene. Se uno avrà sempre azzittito la voce del suo cuore avrà riempito i suoi pensieri del rumore, dei ragionamenti, delle idee e delle frasi fatte o dei luoghi comuni degli altri.
Purtroppo, a tanti cristiani è capi¬tato proprio così! Al catechismo hanno sentito parlare di Gesù, come di un personaggio delle fa¬vole. Dei vangeli, hanno sentito raccontare qualche episodio isolato senza le spiegazioni opportune. Il loro cuore li ha invitati a cercarlo, ad amarlo ma non c’è stata risposta.
Adesso, da grandi è un disastro: non sanno trovare un brano, non rie¬scono a inquadrarlo nel contesto, non ne afferrano il significato pro¬fondo, il loro cuore pare abbia peso la voce.
Oggi non si può essere cristiani per sentito dire, perché lo era il nonno, per comodità. Oggi essere cristiani è impegnativo, scomodo, richiede di andare contro corrente, di sapere rendere ragione delle pro¬prie scelte, di scegliere di amare anche coloro che non ti amano, capire e perdonare anche coloro che ti ostacolano o che non la pensano come te.
Oggi, per essere cristiani seri è necessario conoscere Gesù e quindi è necessario conoscere i van¬geli, parlare ancora con Lui.
Ecco perché tutti gli adulti dovrebbero aiutare i ragazzi a conoscere i vangeli partendo con il piede giusto, e cercando di mettere i ragazzi nella condizione di prendere in mano i quattro van¬geli, di leggerli con intelligenza e di accoglierne il significato profondo, di vivere la buona novella cioè le parole di salvezza, “la buona notizia”, che Gesù ha detto e ancor oggi continua senza mai stancarsi a ripetere ad ogni creatura umana di qualsiasi tempo, di qualsiasi sesso, di qualsiasi razza, di qualsiasi età, chiedendo instancabilmente loro:”cosa dice il tuo cuore”.
- Voglio crescere sul serio o travestirmi da cresciuto?
- So riconoscere ciò che veramente da spina dorsale alla mia vita?
- Come posso scegliere il bene se non conosco anche le proposte di Gesù?
- Vuoi incontrarti con i tuoi coetanei in parrocchia ed insieme ascoltare cosa ha da dirti Gesù?













La chiesa "ascolta" i giovani?

La chiesa "ascolta" i giovani?



È innegabile la disaffezione dei giovani nei confronti della chiesa e verso un certo modo di vivere la fede. La distanza con il mondo degli adulti. La comunità cristiana è chiamata ad "intercettare" il variegato pianeta giovani. Se la chiesa ha ancora "bisogno" dei giovani per avere futuro, è indispensabile che essa ascolti il loro "grido".


«Perché in chiesa di giovani se ne vedono sempre meno e spariscono anno dopo anno i gruppi parrocchiali giovanili?


Perché i ragazzi si dileguano dagli oratori appena diventano "giovani"?


Come giustificare l'analfabetismo cristiano e specialmente biblico delle nuove generazioni, in uno spazio culturale del quale la Bibbia rappresenta senza alcun dubbio uno dei grandi codici di senso e del quale spesso si ricordano le radici cristiane?


Perché, da una parte, sempre più utenti di facebook, nel loro profilo, si assegnano un orientamento "ateo" o "agnostico", mentre, dall'altra, sono in continua crescita i siti web dove "lasciare" una preghiera, "accendere" una candela, "trascorrere" un momento di pace?».


A partire da questi e da altri interrogativi sviluppa la sua preoccupata riflessione don Armando Matteo, assistente ecclesiastico della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), nel suo nuovo libro dal titolo "La prima generazione incredula". Il difficile rapporto tra i giovani e la fede. Il volume interroga con molta chiarezza l'inedito del mondo giovanile che si manifesta nel loro modo di vivere e di credere. L'autore si pone due domande: qual è oggi l'atteggiamento dei credenti nei confronti di questa difficile relazione dei giovani con la fede? Quale priorità riveste questa spinosa situazione nelle strategie pastorali odierne?






La chiesa ha bisogno dei giovani


Secondo don Matteo, «senza giovani cristianamente convinti non sarà più possibile far udire la voce dei credenti nei luoghi dove si decide del bene comune». Oggi sulla questione della «disaffezione dei giovani alle cose della fede» si constata una certa "anomalia" nel contesto di «un tessuto popolare ampiamente ispirato alla religione cristiana». Quando si parla di Dio, di fede, di preghiera e di comunità, la vita dei giovani «accusa una generale sordità», che dice "incredulità", ovvero «un'assenza di antenne per ciò che la chiesa è e compie, quando vive e celebra il vangelo».


Di fronte a questo fatto, l'ipotesi più accreditata è che, nella relazione con i giovani, la chiesa subisce l'influenza della malsana logica che struttura i rapporti intergenerazionali nella società civile, una logica scandita da un continuo parlare dei giovani e dei loro problemi, cui corrisponde un altrettanto costante accumulo di privilegi nelle mani degli adulti, persi nei loro riti e nei loro miti, ben saldi ai loro posti di potere, incapaci ormai non solo di prendersi cura del mondo giovanile ma più semplicemente di guardarlo in faccia.


Oggi si assiste al fenomeno di una progressiva "interruzione" del dialogo intergenerazionale: «gli adulti stanno costruendo una società che ruba avidamente spazi e tempi ai giovani e non riesce più a prestare sufficiente attenzione né alla loro reale condizione né alla possibilità del loro futuro sviluppo». In questo modo aumenta una sorta di "risentimento" da parte degli adulti nei confronti dei giovani, dal momento che gli stessi giovani con la loro "pura" presenza «ricordano ciò che gli adulti vorrebbero ad ogni costo dimenticare: lo scorrere del tempo, l'avvicinarsi della malattia, l'inesorabile ora del congedo da questa vita».


Ecco perché gli adulti "condannano" i giovani ad una certa marginalità, soprattutto non lasciando loro «spazi di futuro possibile». Tale "marginalità" consegna i giovani a quello che il filosofo Galimberti definisce come un ospite inquietante dal nome antico, ma dalla vitalità strepitosa che è il nichilismo.


Di fronte ad un tale destino di marginalizzazione si capisce la fatica della comunità ecclesiale a «rivedere strutturalmente il suo dialogo con le nuove generazioni». Oggi vi è necessità di «mettere in discussione un intero modello culturale, politico, economico e sociale. Ed ecclesiale», che assicuri ai giovani un futuro sottratto alle avidità, alle smanie e agli egoismi degli adulti.






Cause della disaffezione giovanile


Mai come oggi la chiesa appare in grado di "differenziare" la propria offerta formativa ed educativa, eppure le parrocchie si svuotano, gli oratori sono affollati "solo" di bambini, ma disertati dai giovani, le associazioni ecclesiali di antica tradizione registrano "rallentamenti" considerevoli per quanto riguarda l'incidenza sulla fascia giovanile. In poche parole, il cristianesimo «non appare più con immediata evidenza "un buon affare", un investimento sicuro su cui puntare»: si constata che, «a una differenziazione dell'offerta delle sue forme, corrisponde una diminuzione della domanda».


Sembra che i giovani non abbiano più "antenne" per Dio, per la fede e per la chiesa. Secondo don Matteo sono tre i "segni" più evidenti di quella che viene definita "la prima generazione incredula": «una profonda ignoranza biblica; una scarsa partecipazione alla formazione cristiana post-cresimale; una notevole disinvoltura nel disertare l'assemblea eucaristica domenicale».






La maggior parte delle parrocchie presenti sul territorio nazionale sequestrano i "pochi" giovani presenti in una qualche forma di servizio a favore dei più piccoli. Questo dato ingenera l'idea che l'"andare in chiesa" si identifica immediatamente con il "fare le cose della chiesa", che cioè la sequela debba coincidere necessariamente con la diaconia. Da qui la domanda: «e se uno proprio non se la sente di fare le "cose della chiesa", perché dovrebbe continuare ad andarci?».


Nel campo della catechesi giovanile si è diffusa in questi ultimi anni una sorta di "autogestione": essa assume un livello didattico piuttosto spicciolo e solo raramente sa adattarsi ai nuovi linguaggi e ai nuovi media tanto in uso presso i giovani, come assai di raro assume un carattere di formazione culturale sui dibattiti attuali sulla fede o sui problemi relativi al disagio giovanile. L'impressione è quella che la chiesa sia fondamentalmente un luogo "specializzato" per il mondo dell'infanzia.






I preti e i giovani


Inoltre, il calo ormai irreversibile delle vocazioni induce un onere eccessivo per i preti in termini di tempi stretti: ecco perché nell'ambito della pastorale giovanile il presbitero non ha letteralmente le forze né il tempo da dedicare a loro, assorbito dai molti oneri pastorali e burocratici. Inoltre, il lavoro sproporzionato dei preti diventa una sorta di autentica "distrazione" da quelle priorità pastorali a cui dovrebbe rispondere. Ci si trasforma sempre più in "preti di corsa", il cui lavoro pastorale è limitato al gestire la routine per "sopravvivere" agli stress e alle fatiche. Anche l'aumento dell'età media del clero non agevola la necessaria attenzione al mondo giovanile.






Una pastorale "diversa"?


Secondo don Matteo, la lontananza dei giovani dalla chiesa è dovuta al fatto che «le parrocchie (e in parte le associazioni e i movimenti) sono essenzialmente luoghi di "esercizio della fede": luoghi che presuppongono in coloro che li frequentano una fede nel vangelo già presente e una qualche dimestichezza con la prassi della preghiera».


Se oggi entrasse in una delle molte parrocchie italiane una persona qualsiasi che non sapesse che cos'è la fede, non troverebbe alcuno spazio dove elaborare e auspicabilmente superare tale ignoranza. Inoltre, appare evidente che molte delle esperienze rivolte al mondo giovanile sono sempre "fuori dall'ordinarietà" e dalla ferialità e non intercettano, in linea di massima, i due milioni di studenti universitari e più del triplo di giovani lavoratori, verso i quali la comunità cristiana non assicura ancora un'affidabile compagnia del vangelo.


Il punto nevralgico del rapporto giovani e fede riguarda «la mancata elaborazione della "distanza" effettivamente esistente tra il giovane, destinatario ideale delle iniziative ecclesiali poste in essere, e il profilo reale dei giovani di oggi». Si tratta di una "distanza" offuscata dal recente uso identitario della religione da parte degli stessi giovani nel solco del modello dell'"appartenenza senza credenza", ovvero di un singolare e moderno slogan "chiesa sì, Cristo no". Basta trincerarsi dietro la frase assicurativa: "i giovani non sono più quelli di una volta"?






Di fronte a questi giovani, la comunità dei credenti è chiamata a trasformarsi e a farsi solidale. Il passo da compiere è quello di «trasformare le comunità ecclesiali in "luoghi" dove si "impara" a credere e dove si "impara" a pregare; luoghi nei quali si può decidere di credere; luoghi di generazione alla fede; luoghi a misura di quei laboratori della fede auspicati da Giovanni Paolo II; luoghi in cui gli stessi giovani possano affrontare la loro ignoranza rispetto al Gesù dei vangeli, le loro pretese in riferimento alla loro esistenza e alla chiesa; luoghi di respiro, di libertà, di passaggi e di paesaggi da contemplare, da ammirare, da interrogare e da mettere alla prova; luoghi in cui elaborare il disagio culturale che li attanaglia; luoghi facilmente transitabili, sottratti alla mania clericale della diaconia ad ogni costo.


Quindi la pastorale giovanile non è chiamata a concentrare la sua attenzione su "una" azione specificamente progettata per i giovani, ma sul tessuto quotidiano e feriale, che la comunità cristiana deve sapere abitare maggiormente.






Gli adulti di fronte ai giovani


Ad un osservatore distratto, l'affermazione che oggi i giovani stiano male potrebbe apparire poco realistica, dal momento che mai come ai nostri giorni è stato consentito loro un tenore di vita così alto, arricchito da mille opportunità sociali, culturali e relazionali. Da dove scaturisce quello che qualcuno definisce il "malessere" dei giovani? Assistiamo oggi ad una forma di "male dell'anima" e di "isolamento patologico" dei giovani che vivono sulla soglia di un "presente sospeso", dove «il presente diventa il tutto e contemporaneamente diventa il niente».


Oggi nei giovani vi è un assenza "patologica" di futuro sul quale è "proibito" scommettere: esiste un loro blocco verso il futuro che è la causa dell'emergenza educativa, frutto della mancata maturazione di una coscienza responsabile di fronte a sé, agli altri e al mondo.


In tale prospettiva si richiama agli adulti una testimonianza più credibile sul versante della vivibilità e dell'amabilità della vita: i giovani osservano gli adulti e da loro devono prendere il vero senso della vita e del suo futuro. Per questo motivo è necessaria un'autentica conversione del mondo degli adulti: essi sono chiamati a passare «da un amore viscerale per la giovinezza e il suo irresistibile fascino a un amore e cura per i giovani con il loro bisogno di adulti-testimoni». Dal momento che gli adulti sono autoreferenziali, attaccati alle loro posizioni di prestigio e di potere, abbacinati dalla loro impossibile giovinezza, «l'emergenza educativa, intorno alla quale si inizia finalmente ad interrogarsi, possiede radici molto profonde e la sua soluzione richiede di conseguenza all'intera società un nuovo orientamento complessivo».






Una fede più giovane


Secondo don Matteo, la fede deve riscoprire la sua "giovinezza", anche perché «il cristianesimo non è sempre esistito», ma «è nato in un momento preciso della storia del mondo e ne sta condividendo un tratto che, sull'asse dell'evoluzione complessiva della specie umana, appare relativamente breve». Quindi, quella cristiana, anche storicamente, è un'esperienza "giovane", in quanto non si è mai arroccata nella difesa di un'immutabile declinazione delle forme della sua presenza storica, ma ha sempre mantenuto uno spirito giovane che l'ha guidata ad un continuo "stare al ritmo" dei cambiamenti epocali della sensibilità diffusa.


Per questa caratteristica della fede, oggi anche per essa «è tempo di dieta», la quale a sua volta chiede «una razionalizzazione e gerarchizzazione degli interessi». Nella chiesa non ci si può interessare di tutto e di tutti e non si possono più mantenere in piedi strutture e istituzioni per le quali mancano le persone che le possano abitare. Nella comunità cristiana occorre favorire una sorta di nuova "geografia della salvezza", cioè dell'interrogarsi sulla «questione del dove e come ci si presenta ai giovani, con quali energie e con quali facce, con quali sinergie e con quali e quanti progetti».


La "prima generazione incredula" chiede alla chiesa l'essenzialità nell'annuncio per quanto riguarda i suoi apparati istituzionali e per dare maggiore spazio ad una fedeltà creativa, che i giovani invitano a non trascurare. I giovani non amano i compromessi e le ambiguità, non fanno sconti, neppure a loro stessi: per questo sono soggetti ad acute depressioni. Sul versante della fede creativa, la chiesa dovrebbe spendersi di più per accogliere quella "scioltezza" ed "elasticità", sconosciuta alle epoche passate, che si esprime nel governare con maestria i mezzi di comunicazione, la musica, la fotografia, la danza, il canto, il web e il mondo dei blog, luoghi dove maggiormente abitano i giovani.


Tutto questo interpella la comunità dei credenti che intende muoversi nella direzione dei giovani. Al momento abbiamo a disposizione un'immagine di vita cristiana poco differenziata, fatta di tappe e di scansioni precise, di sacramenti e di impegni definiti e una visione della chiesa che, approntata all'immatricolazione, resta a disposizione come una "stazione di servizio" dove procedere ogni tanto al "tagliando dell'anima".






Per intercettare maggiormente il mondo giovanile, la comunità cristiana deve dotarsi di una nuova "configurazione", passando da un "modello cronologico" (battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio…) a uno di tipo "kairologico". Un tale cristianesimo si preoccuperà più della trasmissione della "grammatica" della vita cristiana che non dell'indicazione di un "modello unico" di dichiarazione della propria fede, come nel «mettere in mano ai giovani quei codici-sorgente e quelle note, attraverso i quali la loro creatività possa trovare canali di espressione originale e, perché no, di inedite forme di testimonianza in questo nuovo secolo».


La chiesa è chiamata a "raccogliere" quel grido che i giovani lanciano al mondo degli adulti perché possano "sentirlo meglio": si tratta di un grido che chiede speranza per il futuro, per il loro e per il nostro. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede rappresenta una sorta di "ultima" battaglia: se non viene "vinta", a perdere non saranno solo i giovani. È inutile nascondersi che senza i giovani la chiesa è destinata a "scomparire", almeno in Europa.


Matteo A., La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, ed. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2010,