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sabato 4 settembre 2010

Fu chiesto a Gesù Chi è il mio prossimo
               
E Gesù rispose:
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo malmenarono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.   Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall`altra parte.   Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.   Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide, n’ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.   Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.
Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va e anche tu fa lo stesso”.

Chi è quindi il nostro prossimo? E chi è colui che ha soccorso un uomo in estrema necessità?

Proviamo ad analizzare, le circostanze e il personaggio stesso, seppur simbolico, che si muove ed opera in questa parabola.
La storia, con cui Gesù risponde alla domanda, si riallaccia ad un avvenimento reale, almeno nell'ambientazione scenica: la strada da Gerusalemme a Gerico era una discesa di 27 km, tutta curve, e ancora oggi si presta bene ad agguati e rapine. 
Al tempo di Gesù, l'ostilità fra giudei e Samaritani è ancora viva, i samaritani venivano considerati scismatici, da molti veri e propri pagani anche se ebrei. 
Ma è proprio per questo motivo che Gesù, raccontando la  parabola del buon samaritano, sceglie uno di loro come esempio per spiegare l'attenzione che bisogna avere verso il prossimo, mostrando che è preferibile un "eretico" "senzadio" come un samaritano che si comporta con amore verso il prossimo, più di quanto non siano capaci persone dalle quali ci si aspetterebbe comportamenti coerenti e lineari alle loro manifeste scelte e convinzioni. 
 Il vero credente, per questa parabola, è chi nelle azioni fa le cose giuste, e non chi si reca al culto nel tempio più "ortodosso". La parabola perde quindi oggi una parte del suo significato se si trascura il carattere di "miscredenza" che la parola "samaritano" portava con sé presso la mentalità ebraica ortodossa del tempo in cui essa è ambientata.
Lo stesso vale per l'episodio della "samaritana al pozzo" il cui comportamento è ancora più "paradossale" in quanto lei, "miscredente" se non "pagana", è capace di comprensione di cose che i credenti strettamente praticanti ed ossequiosi della legge, che pure hanno avuto l'educazione necessaria per comprenderle, non arrivano più a capire.
Davanti a un infelice “spogliato, percosso e mezzo morto”, il sacerdote e il levita, vedono e passano oltre; essi hanno regole ben precise da rispettare, secondo il loro culto, imposte dall’osservanza e dai precetti di una religione che spesso vede, promuove e ostenta solo il formalismo e l’esteriorità, ma non si incarna più in ciò che annuncia e professa.
Un Samaritano, invece, agisce istintivamente, in base a ciò che la situazione richiede, a ciò che è il da farsi in quel momento e in quella situazione, svincolato da remore e pregiudizi imposte da leggi e norme umane. In un atto di misericordia e compassione, egli lava le ferite dell’uomo assalito dai briganti, non ha paura di contaminarsi né di compromettersi, non pensa a ciò che ha da fare come urgenza, interrompe il suo viaggio e non soltanto, rimanda le sue scadenze e i suoi affari, spende il suo denaro per soccorrerlo. Egli ama questo sconosciuto come se stesso, gli offre aiuto generoso, gratuito a scapito dei suoi interessi, compiendo così, l’opera che Dio stesso avrebbe fatto, se si fosse trovato a passare in quel momento e su quella strada.
Egli vive nella sua persona i comportamenti di Gesù, che ha sacrificato la vita per gli altri, amici e nemici, giusti ed ingiusti. Gesù ha amato veramente tutti, senza chiedere a nessuno la carta d’identità razziale, o religiosa, o il certificato di buona condotta e di profitto spirituale, senza chiedere se alla domenica vai alla messa e ogni sera reciti le preghiere “e quindi sei dei nostri”, senza anteporre un tornaconto o sperare in un riconoscimento di quanto fatto, senza anteporre i propri pur legittimi interessi, priorità ed affari personali.
Il Samaritano riconosce se stesso nell’altro, egli è intessuto in quella trama fitta, in cui avviene lo scambio della propria vita con la vita altrui.
    Ma quali panni indossa, oggi, questa figura simbolica?
In cosa differisce la sua opera, espressa nel sentiero polveroso di un’antica Gerico, da una moderna metropoli asfaltata?
Egli si aggira tra la corsia di un ospedale, dietro il telefono di un’associazione, tra le aule di una parrocchia, alla guida di un’ambulanza, tra le fiamme di un incendio, tra le rovine di un villaggio terremotato, o a distribuire un pasto in una mensa per i più poveri. Egli ci offre la parola, e lenisce quelle sofferenze che la nostra via tortuosa, la nostra Gerico interiore ci impone nostro malgrado. Non esiste vincolo di razza, condizione sociale, credo politico, o spirituale. Non antepone e condiziona il suo agire alle sue priorità.  Designa prossimo tutti gli uomini e le donne, ma in particolare i più colpiti, i più bisognosi, i derelitti mentali e fisici, gli ultimi, avvicinandosi ad essi fino ad identificarsi con loro, agendo in prima persona e non demandando.  Questo soprattutto quando le mille vicissitudini della vita ti lasciano ai margini di una strada senza poter reagire, che sia la malattia, la perdita dl lavoro, la perdita della casa ad averti colpito e spogliato o mille altri diritti fondamentali di cui sei stato privato, che sia una catastrofe naturale o il semplice ma cinico egoismo di interessi economici o i diritti che sempre più spesso la società moderna nega in nome e per conto di un profitto, di un efficientismo subordinato al ricavo, di regole e canoni che hanno solo i parametri del tornaconto produttivo ed economico. Il Samaritano di oggi perpetua quell’atto d’amore che è donato in silenzio, fuori dai riflettori, che riconosce a tutti la stessa dignità, usando una parola, o una carezza come unguento, l’attenzione la disponibilità per l’altro.
Questo è il Samaritano del nostro secolo; in fondo sempre lo stesso, e che con quello stesso amore incondizionato, con quello stesso amore attivo, servendo il suo simile, offre il suo servizio a Dio nel suo prossimo. Il Samaritano di oggi concretizza quell’antica parola di Dio, parola e atto, che non dovremmo mai dimenticare quando chiunque ci porrà la domanda: “Chi è il mio prossimo?” 
Un uomo insultato, malmenato o lasciato solo e sofferente lungo la strada della quotidianità, aggredito da una malattia che gli ha tolto e reso incapace di interagire con la società e le sue regole, i suoi valori, le sue priorità, i suoi canoni comportamentali ed estetici. Un malato di una città qualunque reso straniero perché diverso nell’agire, abbandonato a se stesso perché non produttivo, tra l'indifferenza di tutta la gente che gli passa accanto, di tanta gente "per bene" che lo vede ma che decide di ignorarlo; con l'indifferenza di chi non ritiene opportuno "sporcarsi le mani" per salvare qualcuno che è al di fuori del sistema e dei suoi valori, di chi considera la solidarietà una parola senza significato o un’offerta in denaro da fare fine a se stessa: tanto "c'è qualcun altro che ci penserà". Gente che si sente a posto con la coscienza soltanto perché non dà fastidio a nessuno ed intanto non si impegna mai in prima persona, non prende mai posizione, non si espone mai, demanda sempre a qualcuno il quale farà al posto suo, il quale si impegnerà in sua vece. 
"Ama il prossimo tuo come te stesso": per non dimenticare mai quale impegno, quale partecipazione, quale sollecitudine verso gli altri e spesso, quale compromissione comporta l'essere davvero cristiani.
La domanda del dottore della legge
La domanda che il dottore della legge pone a Gesù: Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna? È una domanda molto importante e molto interessante. È interessante perché esprime la preoccupazione per un'esigenza profonda del cuore dell'uomo, l'esigenza di venire in possesso, in qualche modo, di una vita che non finisce mai, una vita che meriti di non finire mai perché sempre si rinnova, mai delude e mai annoia, perché svincolata da lutti miserie e sofferenze di ogni tipo.
È interessante inoltre notare come il dottore della legge sia consapevole che questa vita eterna è, allo stesso tempo, qualche cosa che non dipende solo dalla nostra condotta, è e resta un dono di Dio; di qui l'importanza di sapere quale deve essere  il nostro agire per venirne in possesso, per questo chiede: Che cosa devo fare per ereditare... D'altra parte è anche consapevole che la vita eterna si riceve come si riceve un'eredità, non un premio acquisto da diritti o per azioni compiute.
La risposta di Gesù
Gesù non risponde direttamente, ma suscita la risposta con la domanda: “Che cosa sta scritto nella legge?” Che cosa vi leggi? "Tu che sei esperto nelle Sacre Scritture, tu che ne conosci il contenuto, tu che insegni agli altri cosa debbono fare, tu che cosa hai capito a proposito delle opere da compiere per ereditare la vita eterna? " Il dottore della legge dimostra di meritare il suo titolo, risponde mostrando qual è il cuore di tutti i comandamenti, qual è la sostanza di tutte le opere che dobbiamo compiere per sperare nella vita eterna: Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso. E questa è la risposta che Gesù stesso vuole dare, conclude, infatti: “Hai risposto bene; fa' questo e vivrai”.
Fa' questo e vivrai
Questa affermazione impone senza esitazioni da che cosa dipenda il nostro vivere o il nostro morire; noi vivremo se la preoccupazione principale della nostra vita sarà quella di impegnare tutto noi stessi nell'amare Dio e nell'amore il prossimo come lo ama Dio; se lo faremo, se questo sarà il compito principale della nostra esistenza, allora, a poco a poco, nella misura in cui il nostro amore verso Dio e verso i fratelli crescerà e si perfezionerà, incominceremo a sperimentare in noi il dono della vita eterna. Più cercheremo di amare Dio più lo conosceremo, più lo conosceremo più lo ameremo e crescerà il nostro desiderio di conoscerlo, di amarlo sempre di più. L’amore di Dio postula, conduce e rimanda inevitabilmente all'amore verso il prossimo e l'amore verso il prossimo all'amore verso Dio, perché solo se sperimenteremo in noi la dolcezza dell'amore di Dio saremo capaci di amare veramente il prossimo, e solo se metteremo dell'impegno per amare veramente il prossimo capiremo come amare Dio.  “19Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. 20Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. 21Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello.“1Giov.4,19seg. Così, per la nostra buona volontà e con l'aiuto della grazia giungeremo ad ereditare la pienezza della vita eterna, ossia la pienezza della conoscenza nello Spirito di Dio Padre e di Gesù suo Figlio, così come è detto nel Vangelo di Giovanni: Questa è la vita eterna, che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo……. (Gv 17,3).
    Chi è il mio prossimo?
Il dottore della legge sposta poi l'attenzione sul secondo comandamento:…. volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo?
Con questa domanda egli vuole conoscere fin dove bisogna estendere la propria benevolenza verso gli altri. In Israele c'era la convinzione di diversi modi per intendere la parola ”prossimo": limitata ai componenti della propria famiglia, estesa agli abitanti del proprio villaggio o della propria città, o chi la voleva estendere a tutti i membri della nazione; c'era in definitiva la preoccupazione di stabilire un certo limite e confine all'amore. Gesù risponde con la parabola del buon Samaritano. Il fatto che egli non abbia preso ad esempio uno dei tanti connazionali e contemporanei degno di essere additato come esempio da seguire e a cui ispirarsi, ma abbia scelto un eretico scismatico ritenuto pagano e non degno di appartenenza alla comunità ebraica e contemporaneamente, non si sia limitato ad una risposta sintetica ma abbia voluto raccontare una storia ricca di particolari, dovrebbe richiamare in noi attenzione ed impegno per cercare di comprendere più a fondo i misteri che il Signore propone ad ogni uomo indipendentemente dal credo religioso che egli professa, dalla razza e nazionalità. Dopo duemila anni di cristianesimo, siamo in grado di rispondere: il mio prossimo è ogni uomo che incontro lungo il cammino della vita ed al quale Dio ha elargito carismi e prerogative altrettanto valide e necessarie quanto quelle che ha donato a me?
Elementi della parabola
Viene detto in primo luogo che un uomo, incamminato su una strada che scende verso il basso, si trova coinvolto in una brutta avventura, la disavventura è talmente grave che il malcapitato si  trova in pericolo di morte e morirebbe sicuramente se qualcuno non si fermasse a soccorrerlo; tuttavia, quelli da cui poteva sperare aiuto non si curano di lui. Viene invece premurosamente soccorso da uno straniero, uno verso cui c'è inimicizia da parte dei Giudei. Questo straniero viene poi indicato da Gesù nel racconto come modello da imitare nell'esercizio dell'amore verso il prossimo. Non credo che fosse nell’intenzione di Gesù porre sotto una cattiva luce i sacerdoti o i Leviti conoscitori delle regole e rituali della legge per magnificare i Samaritani.
Potremmo dividere e tentare di dare una risposta.  
  • cercando di considerare come questo  parabola manifesti la visione di Dio sulla storia dell'umanità.
  • scoprendo quello che Dio fa per l'umanità.
  • capire quello che dobbiamo fare noi.
1) Come Dio vede la storia dell'umanità
Per cogliere appieno il senso di questa parabola e di come essa esprima la visione di Dio sulla storia dell'uomo, è opportuno soffermarsi su alcuni aspetti di carattere geografico. Un uomo scendeva” da Gerusalemme a Gerico… così inizia il racconto di Gesù. Gerusalemme era la capitale politica e religiosa di Israele, a Gerusalemme c'era il tempio e tutto il popolo vi saliva periodicamente per esprimere il suo amore al Signore, per compiere voti per offrire sacrifici; Gerusalemme rappresentava il luogo della comunione con Dio. Ora, Gerusalemme si trova ad un'altitudine di circa 750 metri sopra il livello del mare, mentre Gerico è una città poco distante dalle rive del Mar Morto che si trova a circa 250 metri sotto il livello del mare. Il dislivello fra Gerusalemme e Gerico è quindi di circa 1.000 metri; la strada che collega le due città è impervia e pericolosa, proprio percorrendo questa strada l'uomo incappa nei briganti.
La storia dell'umanità è simile a quella dell'uomo che scendeva” da Gerusalemme a Gerico, infatti, come quell'uomo si era incamminato su una strada scoscesa e pericolosa, una strada che lo portava sempre più in basso, tanto in basso da terminare sotto il livello del mare, come quell'uomo si era incamminato su una strada che lo conduceva sempre più lontano da Gerusalemme, ossia dal luogo della comunione con Dio…così, l'umanità ha voltato le spalle a Dio e si è incamminata su una strada scoscesa e pericolosa, una strada che la porta sempre più in basso e sempre più lontano dalla comunione con Lui. Camminando lontano da Dio si troverà esposta alle insidie dei briganti e, come i briganti hanno spogliato e percosso quell'uomo lasciandolo mezzo morto, così l'umanità, lontana da Dio, cade in molteplici e dolorose disavventure. Come quell'uomo fu spogliato, così l'uomo quando si allontana da Dio viene spogliato della dignità di figlio di Dio. Infatti, se viene meno la dignità che deriva dall'essere tutti figli di un unico Padre, viene anche meno il rispetto reciproco e il rispetto verso se stessi, l’amore verso l’altro ed allora non possono che aumentare le reciproche offese, le prepotenze, le ingiustizie, rimarcando le differenze, dimenticando che tutti abbiamo un prossimo e che tutti siamo prossimo per l’altro.
Con il venir meno della dignità di figlio di Dio, l'uomo viene privato di quel discernimento che antepone il bene e l’amore ad ogni scelta; le furberie, la corruzione, la violenza, l'immoralità, l’egoismo e l’egocentrismo tendono a dilagare, diventano vie e mezzi giusti e giustificabili. Spogliato della dignità di figlio di Dio l'uomo viene privato della capacità di analizzare le sue scelte, di confronto con l’altro, di incontro con il suo prossimo e con il Padre. Privato dello Spirito è incapace di reagire all’apparentemente conveniente, comodo; le scelte sono conseguenza non più di una crescita ma del declino, la prospettiva dell'uomo è ristretta ai soli beni terreni e questi sono destinati a lasciarlo sempre insoddisfatto, quei beni per i quali è disposto a spogliare il suo simile, è disposto a ferirlo, rapinarlo ed abbandonarlo, lasciarlo senza forze ai bordi della strada del suo destino. Ignorarlo, pur di salvaguardare il possesso dei suoi beni, disposto a scendere a compromessi anche con se stesso, giustificandosi ed assolvendosi con la parola e le proprie convinzioni, o con il fatto che questo è quanto, volente o dolente, la vita e la società moderna ti impone.
Allontanandosi da Dio viene meno nell'uomo l'amore di Dio, nell’uomo si perde quell’immagine e somiglianza al Creatore, viene meno la vita della sua anima la quale vive solo se è vivo in lei l'amore di Dio. Così, percosso da svariati mali, l'uomo giace a terra ferito, sanguinante, solo, mezzo morto, non completamente morto e non completamente vivo, è lì tra la vita e la morte e se non viene soccorso da qualcuno morirà sicuramente. In lui c’è l’illusoria credenza che presente, possesso e godimento immediato siano la soluzione del suo vivere, la soluzione del suo patire. Il denaro, il potere diventano il credo a cui volgere ed indirizzare ogni azione della sua vita, diventano i mezzi per la soluzione di ogni problema, ogni dramma, ogni necessità, divenendo metro di confronto e di valutazione.
Un sacerdote scendeva
“Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte.”
Per l'uomo ferito, morente e solo è una prima frustrazione, una prima delusione: aver bisogno di aiuto, sperare un aiuto e non riceverlo è un’ulteriore ferita che accresce il dolore e la solitudine. Ma come poteva ricevere aiuto da uno che, anche se sacerdote, stava percorrendo una strada pericolosa, una strada che lo conduceva lontano dalla casa di Dio? In realtà la situazione di quel sacerdote era peggiore di quella dell'uomo che giaceva a terra ferito, perché questo era ormai consapevole del suo male, della sua caduta e della necessità di chiedere aiuto, e più in basso di dov'era non poteva andare, mentre il sacerdote, per la durezza del suo cuore, proseguiva la sua discesa.
Passò oltre dall'altra parte
È comodo giustificare il proprio operato con mille e uno pretesti o supposte scuse, è sempre scomodo e doloroso lasciarsi sconvolgere dal mistero della sofferenza e del male, allora si preferiscono le scappatoie e le fughe verso luoghi più rassicuranti, luoghi in cui si riesce a far rientrare la realtà entro i propri schemi; ma sia il mistero del male che quello del bene sono più grandi dei nostri poveri schemi e se non ci lasceremo iniziare secondo la pedagogia che Dio solo conosce, un giorno o l'altro il loro peso ci schiaccerà. In fondo, dietro ogni fuga c'è l'ingenuità o la presunzione di voler affrontare il cammino della vita con le nostre sole forze, mascherando l’insicurezza nell’illusorietà delle regole anche quando è evidente che esse ci impediscono di esprimere amore, ed allora con le nostre sole forze di fronte per certe situazioni non rimane che la fuga demandando ad altri, adducendo mille motivi pensati solo per assolvere il nostro non impegno.
Anche un levita
“Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre”.
Visto il comportamento, quel levita non poteva che essere diretto anche lui verso il basso, e il povero malcapitato riceve un altro colpo, rimane cioè ferito dall'indifferenza di chi gli passa accanto e non si ferma per dargli almeno un po' di conforto; la sua angoscia aumenta ancora e rischia di trasformarsi in disperazione, infatti, se proprio un sacerdote e un levita, ossia coloro che sono chiamati al servizio di Dio e alla conoscenza della sua Parola, non hanno avuto compassione di lui, da chi mai potrà sperare compassione?
“Quale identità potrebbero avere oggi questi due personaggi”.
Potremmo cambiare identità a questi due personaggi presentati nel racconto e riformulare la parabola dicendo: un uomo per bene, una persona stimata, un cristiano che tutte le domeniche va in chiesa, un cittadino stimato e ritenuto giusto, io……perché come puoi pensare che il tuo cuore indurito possa provare compassione per il prossimo quando non riesce ad avere compassione per se stesso. In altri termini se il tuo cuore è pieno delle tue preoccupazioni, dei tuoi interessi, del tuo lavoro, delle tue ansie e paure, se il confine del tuo vedere è e resta solo il tuo mondo, non puoi che vedere l’altro, il diverso, chi non conosci come un peso, un impedimento se non, in alcuni casi, un pericolo. Potremmo comparare a questa parabola un’altra la parabola del figliol prodigo o meglio del “Padre Buono”. Quando quel figlio scapestrato che aveva ricevuto e dilapidato la sua eredità riconosce lo stato di indigenza in cui versa, e lascia che la sua vera natura esprima ciò che da sempre il cuore le suggerisce, inizia la risalita, inizia la guarigione e si avvia per ritornare alla casa del Padre. La realtà che lo aspetta va oltre ogni aspettativa, un atto di pentimento sincero, la presa cosciente del proprio stato, il riconoscere di avere bisogno di chi sa curare le tue ferite, spalanca le braccia di quel Padre che aspettava ogni giorno il ritorno del figlio, non per rinfacciargli gli errori, ma per fare festa per averlo riavuto con sé.
2 ) Ciò che Dio fa per l'umanità
 Visto che l'uomo, nella situazione in cui si trova, non riesce a risollevarsi da solo perché è troppo debole e sono troppo gravi le sue ferite, Dio decide di venire di persona in soccorso dell’umanità.
“Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, poi caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore dicendo: "Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno".
Questa descrizione corrisponde a quello che Gesù ha insegnato e fatto per gli uomini. Anche Gesù si è messo in viaggio per venire a cercare l'uomo che si è perduto. Il suo viaggio è stato dal Cielo alla terra e dalla terra al Cielo. Gesù, giunto sulla terra, vede la triste condizione dell'uomo e il suo cuore si commuove.  Egli, non solo si avvicina ma cura le nostre ferite; cura chi giace a terra ferito e nudo, curare chi, consapevole del proprio stato, accetta di lasciarsi toccare da Lui, di lasciare che vengano esaminate proprio le ferite più gravi, quelle che forse si ha vergogna di mostrare. Egli il Dio fatto carne sa come curare la nostra infelicità, il nostro scoraggiamento, le delusioni, la solitudine, l'incapacità di amare, le durezze di cuore, i dubbi, le disperazioni, l'orgoglio, certe pigrizie, passioni disordinate, ire, aggressività, vigliaccherie, tradimenti…….. 
“Gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino. Quest'olio e questo vino potremmo paragonarli alla misericordia e alla giustizia, alla dolcezza e alla forza, alla consolazione che Gesù mette in atto per curare le nostre ferite. 
“Caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.” Chi è debole e dolorante a causa di molte ferite non può essere lasciato sulla strada, ma deve essere concretamente trasportato in un luogo in cui possa riposare, nutrirsi, essere protetto dalle intemperie e riprendere così, a poco a poco, le forze e la salute, deve sapere di essere la dove è amato, difeso, curato, sfamato e ricevere ciò di cui ha veramente bisogno. 
"Abbi cura di lui".
Questo è l’atto più sconvolgente di chi tutto può; cercare la collaborazione degli altri, coinvolgerli perché il loro agire sia aiuto per il prossimo e crescita per se stessi. Invitarli sulla scorta di un esempio concreto a fare ciò che vorremmo che a nostra volta ci venga fatto, non come possibile scambio di mutuo soccorso, ma come convinzione del proprio credo, essere ed agire. Quell' “abbi cura di lui” è come un'eco che risuona nel cuore di ogni cristiano “sappi che questi è tuo fratello, e come te è amato in maniera unica da Dio, è colui per il quale Cristo, disceso dal cielo, si è fatto carne e ha donato la sua vita, è il destinatario della vita eterna voluta dal Padre per mezzo di Cristo nello Spirito per tutti gli uomini suoi figli, è colui che sarà per te motivo di crescita e di salvezza; ma abbi cura di lui non solo quando sei infervorato da pii sentimenti o sulla scorta di un’emotività, ma quando egli, Il tuo prossimo, ne ha bisogno. 
Gesù termina chiedendo al dottore della legge: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?” E il dottore della legge deve ammettere: “Chi ha avuto compassione di lui.”  “Va e anche tu fa lo stesso”, Gesù propone cosa dovremmo fare noi, ci invita al nostro ultimo sforzo, quello di riflettere, alla luce dell'esempio del suo esempio, ci invita alla coerenza seppur difficile ed a volte incomprensibile, ci invita a far proprio quell’esempio che il cristiano deve porre all'inizio di ogni azione per illuminare le proprie scelte, persuaso costantemente ad andare verso il prossimo, persuaso a misurare su questo campo la fede e la sua appartenenza a Cristo, a misurare lo spessore della speranza e dell’amore di cui, in Cristo, per mezzo dello Spirito, è allievo, autore e testimone dell’essere figlio del Padre. 
3 )  Quello che dovremmo fare noi
Ci sono momenti o periodi in cui la nostra anima è nello stato in cui si trovava l'uomo percosso dai briganti prima che giungesse il buon Samaritano, altri momenti in cui non deve far altro che lasciarsi medicare le ferite, ed altri ancora in cui, in un luogo sicuro riacquista le forze e si esercita nelle attività di una vita normale, altri in cui è chiamato in quanto cristiano ad essere imitazione del buon Samaritano.
Il momento del dolore e dell'abbandono
Ci possono dunque essere, nella vita di ogni uomo, dei momenti in cui si è percossi fino alla morte dal volgere impietoso degli eventi, momenti in cui, come dicono i profeti: “ SIGNORE, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me è meglio morire piuttosto che vivere.” Giona 4:3  , momenti in cui si spera vivamente l'aiuto di chi ci passa accanto, ma l'aiuto non viene, anzi, chi ci passa accanto contribuisce a peggiorare le nostre ferite con la sua insensibilità e la sua indifferenza, con il suo inutile parlare. Quando poi questa esperienza si protrae nel tempo, si giunge a rasentare la disperazione. In questi momenti si sperimenta quanto è amaro vivere lontano dalla casa del Padre, “esuli figli di Eva”.
Nella situazione portata ad esempio nella parabola del Samaritano, situazione da cui non si esce con le proprie forze perché sono esaurite, né con l'aiuto degli uomini perché o non vedono o girano alla larga dal nostro dramma, una speranza è ancora possibile. Una delle debolezze fondamentali, una delle ferite più profonde che abbiamo è proprio la mancanza di speranza (certezza, nel vocabolario paolino) in Dio, mancanza di speranza nel suo amore, mancanza di speranza nel suo desiderio e nel suo potere di guarirci, di fortificarci, di renderci felici, forse perché abbiamo anteposto non la visione del Padre ma quella del “giudice e burocrate severo e intransigente”, forse perché la nostra fede è scivolata divenendo un culto, una religione, un’assolvenza di regole e precetti. Questo perché il fondamento su cui poggia il nostro credo e la nostra esistenza siamo noi stessi, le nostre idee e convinzioni. Idee e convinzioni spesso proiettate su un Dio da noi creato a nostra immagine e somiglianza, idee e convinzioni che hanno oscurato il Dio il cui fondamento costitutivo è solo l’Amare, il cui desiderio è rendere la sua creatura a Sua immagine e somiglianza.                                                                                                                                                          

 m.z.
                                                                                                                             
Fratelli, sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno.  In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.
Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano. 

Gal. 2,19 – 19,21

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