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mercoledì 23 febbraio 2011

Giobbe Baruc confronto tra pazienza e presunta scaltrezza

 Nonostante le sue caratteristiche di giusto, Giobbe rappresenta la contraddizione tra il giusto che soffre senza colpa e il malvagio che invece prospera: egli è l’esempio di una ricerca della giustizia che dovrebbe colpire chi fa il male e assolvere e premiare il giusto che fa il bene.
Presso gli ebrei, nel periodo dell'esilio babilonese vigeva la convinzione che il malvagio venisse giustamente punito con il dolore o la perdita di beni materiali, come effetto immediato, quasi meccanico, delle sue cattive azioni mentre il buono, quando agiva bene, veniva subito premiato con l'abbondanza e la fecondità .( conosco molte persone che  applicano ancor oggi questo parametro di lettura degli eventi )   
 Ma per tornare al nostro amico, vorrei confrontare le sue vicissitudini ( quelle accadute a Giobbe) con quelle accadute ad un suo conterraneo Baruc ) che come Giobbe subì le medesime disavventure; stesse pene vissute, stesse pene affrontate con due personalità e comportamenti diversi.
Arrivando al dunque troviamo il nostro amico Baruc seduto sulle macerie della casa crollata sulla sua famiglia.
Le macerie non fumavano più o almeno il fumo che poteva ancora uscire da loro (dalle macerie ) era coperto dal denso fumo che usciva dalle orecchie di Baruc, tanto da sembrare due comignoli di una fornace a pieno ritmo.
Con gli occhi sgranati ed urlando tanto forte da rendere incomprensibili parole e sgrammaticamenti vari, Baruc incolpava ora la moglie (anche se le bombole del gas non erano state ancora inventate), ora i figli e figlie, rei a suo dire di non aver fatto qualcosa perché non succedesse quello che era successo, ora il buon Dio che si era sbagliato con qualcun altro, che non doveva permettere che la cosa accadesse proprio a lui, ai suoi cari e quindi doveva rimediare al tutto. 
Ma l’urlo che maggiormente echeggiava era: “ perché a me, perché proprio a me con tanti delinquenti che ci sono in giro, io cosa ho fatto di male”.
Il buon Dio sentitosi chiamato in causa a bordo della sua nuvoletta preferita fece capolino, senza farsi vedere da nessuno per meglio ascoltare, per rendersi conto di che cosa stesse succedendo e del perché di tante urla, ma soprattutto del perché fosse chiamato in causa.
La cosa che maggiormente colpiva era l’inconsolabile disperazione che Baruc dimostrava non tanto per la perdita dei suoi cari, quanto dei suoi beni immobili ora inesistenti, per i suoi allevamenti di bestiame razziati e per tutto quello che, avendolo perduto, non possedeva più.
Il buon Dio che oltre ad essere buono è anche capace di inquadrare subito una situazione e di leggere subito nel cuore degli uomini, sulle prime tentò di rimediare all’accaduto spiegando che mentre le cose di questo mondo sono passeggere, vi sono valori ai quali bisognerebbe dare la priorità. 
Ma parlare con Baruc era come parlare con il muro ed un muro molto spesso e resistente.
Pareva quasi che Baruc tentasse di impressionare con urla e lamenti nel tentativo di recuperare e rimediare qualcosa, per evitare di rimetterci tutto, urlando ed elencando tutto quello di cui era stato improvvisamente privato, ricordandosi ogni tanto di aggiungere all’elenco anche moglie e prole che, da consumatori dei suoi beni (come li aveva sempre definiti ) diventavano “il suo sostegno la sua ragione di vita”. 
Il buon Dio, che come abbiamo già detto è veramente buono ed in questo caso anche molto comprensivo e paziente, promise a Baruc di intervenire presso la locale commissione fabbricati per agevolarlo nelle pratiche di ricostruzione, ma Baruc urlava e si disperava;  promise di intercedere per fargli ottenere nuovi cammelli e greggi che riproducendosi avrebbero ricostituito le sue mandrie, ma Baruc urlava e si disperava, promise di farle avere prestiti agevolati, ma Baruc urlava e si disperava, promise…….promise………. ma Baruc urlava e si disperava.
Ed il paziente Giobbe? Tentiamo un breve accenno.
Giobbe ad onor del vero anzitutto non è un nome proprio di persona, in quanto vuol dire "odiato, perseguitato": non è quindi da escludere che in lui si debba vedere una qualche tribù ebraica di confine, più soggetta di altre alle pressioni, anche violente, delle popolazioni confinanti.
Il libro di Giobbe, considerato il capolavoro letterario della corrente sapienziale, il cui testo, rimaneggiato a più riprese, venne scritto nel V o al massimo IV secolo prima della nostra era, in un ambiente post-esilico, ed in cui, alla preoccupazione per le sorti del paese, era subentrata quella per i destini dell'individuo.
La morale che questo libro sembra suggerire é che, l’affidarsi a Dio, è e resta l’unico modo percorribile per superare anche le disgrazie più terribili, gli eventi apparentemente incomprensibili della propria vita terrena.
Forse l'autore ha voluto dimostrare che, in mezzo alla generale corruzione, insipienza, conformismo della fede, qualcuno può sempre, confidando in Dio, staccarsi dalla massa e apparire migliore degli altri.
Ma evito di essere troppo complicato, e per ritornare a “furbetto Baruc” ?
Se non fosse stato che per i raggiunti limiti di età sarebbe ancora lì a mercanteggiare con il buon Dio, ma quanti di noi ( io compreso) ancor oggi si rispecchiano più nel nostro personaggio (Baruc) più che con il paziente Giobbe?



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