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sabato 22 gennaio 2011

La leggenda del pettirosso


                           Un venerdì mattina su un ramo di un albero vicino ad una piccola montagna, un uccellino si svegliò per le urla che riempievano l’aria echeggiando in ogni direzione.     
Una folla concitata ammassata ai bordi del sentiero che portava alla cima del colle, si divertiva ad insultare e schernire un povero giovane sfigurato dal dolore, dalle percosse subite e con il capo martoriato da una strana corona intrecciata con rovi spinosi. Portava sulle spalle una trave che lo costringeva a camminare curvo ed i soldati che gli stavano accanto, si divertivano a frustarlo ed a percuoterlo con i bastoni delle loro lance.
Giunti in cima al monte crocifissero il giovane insieme ad altri due suoi occasionali compagni di sventura, issandoli su un'altra trave, formando così quell’orrendo patibolo che i soldati romani chiamano croce.

L’uccellino guardava da lontano impaurito da tanta violenza e da tanto dolore.
Aveva già altre volte visto scene uguali, aveva visto altre volte dei disgraziati che tra urla, imprecazioni, maledizioni e lamenti finivano la loro misera esistenza appesi a quei legni fatti dagli uomini. Strane creature gli uomini capaci di tanta violenza e crudeltà verso i loro simili !!
Ma questa volta non riusciva a distogliere gli occhi dal viso di quel poveretto che a differenza di altri non imprecava, non malediva, ma sembrava pregare e perdonare tanta inconcepibile crudeltà.

Fissando ancora quel volto si ricordò di lui, di avere già visto quell’uomo.  Lo aveva visto chinato sui malati, poveri e straccioni, circondato da bambini o da mamme che cercavano di toccare le sue vesti, madri che gli porgevano i loro figli perché desse loro una carezza; lo aveva visto osannato da folle festanti, da gente curiosa e bramosa di vederlo e di parlare con lui.
Non capiva perché ora tutti lo insultassero e nessuno intervenisse per liberarlo da quella orribile tortura; che cosa avesse potuto mai fare per meritare quanto gli stava accadendo.

Si fece coraggio e volò più vicino posandosi su una delle tre croci, da lì sentì pronunciare un nome e poche parole da uno dei due compagni crocefissi al fianco  del giovane. Sentì chiamarlo Gesù, stupito lo senti a sua volta pronunciare verso i suoi compagni parole di incoraggiamento, di perdono, di speranza, lo sentì consolare quelli che con lui condividevano tanto patire.     
L’uccellino si fece ancora più coraggio e volò sulla croce di Gesù e dall’alto vide, ai piedi della croce, la madre del quel giovane in ginocchio, anche lei composta nel suo dolore, con il volto solcato dalle lacrime, restare ai piedi  di queilegni con la forza e con la determinazione che solo una madre può avere, sperando ancora che qualcuno potesse aiutare quel suo figlio afflitto da tanto patire, sperando ancora che qualcuno mettesse fine a tanto dolore e le restituisse quel suo figlio affinché lei lo potesse medicare, curare, asciugare dal sangue che gli deturpa il volto, togliere quegl’orrendi chiodi che gli imprigionano mani e piedi; …….. l’uccellino la sentì, da tutti inascoltata, supplicare pietà.

Commosso da tanto dolore e da tanta sofferenza capì che doveva fare qualcosa; ma cosa mai poteva fare un piccolo uccellino come lui.
Volando si avvicinò a quel volto sfigurato dal sangue che colava dalle spine conficcate nel capo, con tutta la forza che aveva cercò di sfilare quella corona di spine ma, esile e minuto come era, si rese presto conto che ogni suo tentativo sarebbe stato vano.   
Risoluto nel suo proposito con ancora più forza e determinazione continuò a tirare e tirare, cercando con tutta la sua forza di togliere quelle spine ma ….. con un movimento improvviso  una di quelle spine si conficcò nel suo piccolo petto trapassandogli il cuore.
L’uccellino trafitto cadde a terra ai piedi della croce.

La madre di Gesù che aveva assistito alla scena lo raccolse stringendolo ed accarezzandolo delicatamente, grata a quel piccolo esserino che, solo tra tanti, aveva avuto pietà per la sorte di suo figlio, opponendosi con coraggio alla crudeltà degli eventi, opponendosi al comune agire, poi guardò suo figlio che con un cenno di intesa le sorrise. In quell’istante l’uccellino riprese sommessamente, poi sempre con maggior vigore a muovere le ali. Quasi senza rendersene conto volò via lasciandosi alle spalle il fracasso e le urla della folla, volando freneticamente come a voler dimenticare quanto aveva visto, come volesse fuggire e cancellare dalla mente tanto orrore e violenza; mesto e angosciato tornò tra i rami sul suo albero nascondendosi nel nido.  

Il giorno successivo come ogni mattina volò al vicino ruscello per dissetarsi, specchiandosi vide sul suo petto un ciuffo di piume rosse come il sangue che usciva dal capo di Gesù. Si specchio più volte nell’acqua, richiamando alla mente ogni attimo di quanto aveva vissuto il giorno precedente. Orgoglioso di quella insolita medaglia ricevuta, non volle lavare il piumaggio del suo petto, perché voleva che da quel giorno, chiunque lo avesse incontrato, guardando il rosso cangiante delle sue piume, sapesse che anche lui aveva conosciuto quel Gesù dal volto gentile; quel Gesù che sulla croce aveva avuto parole di perdono e di consolazione per tutti, anche per coloro che lo avevano inchiodato al legno della croce.
m.z. fiabe e leggende di quando ancora non esisteva internet








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